Il nostro obbiettivo ricorda all’amministrazione comunale…
La voce di Modica, 6 novembre 1949
Il triste spettacolo offerto dalla fotografia è un pò la storia miserabile del nostro paese; è il segno inconfondibile della scarsa evoluzione di Modica, malgrado i fasti, gli splendori e le ricchezze della Contea, a dispetto della tradizione più volte millenaria.
Queste grotte sono passate dal padre al figlio, per decine di secoli, per centinaia di generazioni, senza che alcuno, mai, abbia affrontato radicalmente il problema al fine di sanare definitivamente la piaga purulenta e infamante costruita dalle grotte. Grotte buie, tane puzzolenti, spelonche affumicate, rifugi a cui le bestie preferirebbero la sofficità dei campi e la salubrità dell’aria aperta, sotto il cielo puro. Sono, invece, ricettacolo immondo di esseri umani a cui il terrore della solitudine e la paura delle intemperie impediscono di comportarsi come gli animali. E qui vivono in una promiscuità ibrida e ripugnante; nello stesso spazio ristretto diviso con l’asino o con la vacca, unica fonte di vita; qui mangiano, qui dormono, qui soddisfano ogni bisogno, uomini e bestie, maschi e femmine, piccoli e grandi: comunità in cui la miseria ha ucciso il pudore e spento il senso della dignità umana. Dalla volta nera, incrostata di fumo, e dalle pareti nude e rozze trasuda l’umidità perenne della roccia; dal pavimento di terra battuta si alza un tanfo nauseabondo di escrementi e di orina; i giacigli di paglia marcia, malamente ricoperti da stracci, sono ricettacolo di pulci, cimici e pidocchi.
In un angolo, il più lontano ed il più buio, la figlia più grande a cui sono già sbocciati i seni, si è creata una “camera” tappezzando la roccia con giornali illustrati, e l’ha separata dal resto della “casa” con un paravento di stracci e di carta da imballaggio; forse, chissà, con un grande manifesto di propaganda elettorale: “faremo questo, ti daremo altro…”
Quando viene la sera ed il capo stanco della futura sposa si adagia sul cuscino di foglie secche, la luce tremula e fumosa della candela a petrolio, batte sulle case ampie e ridenti, sulle officine operose ed affollate dipinte sul manifesto.
Tragica ironia del destino; promesse allettanti che hanno funzionato come gli specchi per le allodole; residui di propaganda che suonano scherno ed offesa ai princìpi più elementari della convivenza sociale.
Programmi politici, progressivi o democratici, per il migliore assetto del vivere civile.
Promesse, innumerevoli promesse, di pane, di lavoro, di libertà.
Ma le tane sono rimaste; senza acqua, senza fogna, senza luce. Dal tempo in cui l’uomo si copriva con la pelle degli animali e sconosceva il miracolo del fuoco; dal tempo in cui la reggia di Modica era la grotta più grande ed il re, il selvaggio più forte.
La ragazza che comincia a sognare, prima ancora di chiudere gli occhi, non conosce la storia e non capisce la politica.
Il suo principe azzurro è il robusto contadino della grotta accanto e la sua reggia, una semplice, linda, bianca cameretta con una grande finestra luminosa aperta all’aria, alla luce, alla vita.
Giovanni Modica Scala
Visita la galleria fotografica qui
Da La Grande Alluvione: I CAVERNICOLI DEL DUEMILA
Queste grotte sono passate dal padre al figlio, per decine di secoli, per centinaia di generazioni, senza che alcuno, mai, abbia affrontato radicalmente il problema al fine di sanare definitivamente la piaga purulenta e infamante costruita dalle grotte. Grotte buie, tane puzzolenti, spelonche affumicate, rifugi a cui le bestie preferirebbero la sofficità dei campi e la salubrità dell’aria aperta, sotto il cielo puro. Sono, invece, ricettacolo immondo di esseri umani a cui il terrore della solitudine e la paura delle intemperie impediscono di comportarsi come gli animali. E qui vivono in una promiscuità ibrida e ripugnante; nello stesso spazio ristretto diviso con l’asino o con la vacca, unica fonte di vita; qui mangiano, qui dormono, qui soddisfano ogni bisogno, uomini e bestie, maschi e femmine, piccoli e grandi: comunità in cui la miseria ha ucciso il pudore e spento il senso della dignità umana. Dalla volta nera, incrostata di fumo, e dalle pareti nude e rozze trasuda l’umidità perenne della roccia; dal pavimento di terra battuta si alza un tanfo nauseabondo di escrementi e di orina; i giacigli di paglia marcia, malamente ricoperti da stracci, sono ricettacolo di pulci, cimici e pidocchi.
In un angolo, il più lontano ed il più buio, la figlia più grande a cui sono già sbocciati i seni, si è creata una “camera” tappezzando la roccia con giornali illustrati, e l’ha separata dal resto della “casa” con un paravento di stracci e di carta da imballaggio; forse, chissà, con un grande manifesto di propaganda elettorale: “faremo questo, ti daremo altro…”
Quando viene la sera ed il capo stanco della futura sposa si adagia sul cuscino di foglie secche, la luce tremula e fumosa della candela a petrolio, batte sulle case ampie e ridenti, sulle officine operose ed affollate dipinte sul manifesto.
Tragica ironia del destino; promesse allettanti che hanno funzionato come gli specchi per le allodole; residui di propaganda che suonano scherno ed offesa ai princìpi più elementari della convivenza sociale.
Programmi politici, progressivi o democratici, per il migliore assetto del vivere civile.
Promesse, innumerevoli promesse, di pane, di lavoro, di libertà.
Ma le tane sono rimaste; senza acqua, senza fogna, senza luce. Dal tempo in cui l’uomo si copriva con la pelle degli animali e sconosceva il miracolo del fuoco; dal tempo in cui la reggia di Modica era la grotta più grande ed il re, il selvaggio più forte.
La ragazza che comincia a sognare, prima ancora di chiudere gli occhi, non conosce la storia e non capisce la politica.
Il suo principe azzurro è il robusto contadino della grotta accanto e la sua reggia, una semplice, linda, bianca cameretta con una grande finestra luminosa aperta all’aria, alla luce, alla vita.
Giovanni Modica Scala
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Da La Grande Alluvione: I CAVERNICOLI DEL DUEMILA