I Conti di ferro - Modica nei secoli
Voce Libera, 25 marzo 1967
Vagheggiavo da tempo l'intenzione di scrivere qualcosa su alcune figure eccezionali della nostra storia medievale, del Tre­cento e del Quattrocento, che non avevano nulla da invidiare ai grandi condottieri del Continente, per audacia, per valore e per spirito di avventura.
Giovanni Chiaramonte, Manfredi Chiaramonte e Bernardo Cabrera, conti di Modica ed esponenti di primo piano nella storia di Sicilia, erano ignoti al grande pubblico nazionale, regionale e municipale. A Modica, allora come ora, neppure una lapide topono­mastica ricorda i loro nomi, malgrado la loro eccezionale statu­ra, non inferiore di certo a quella dei celebrati capitani di ventura dello stesso periodo storico: Pandolfo Malatesta, Erasmo da Narni (detto Gattamelata), Alberico da Barbiano, Bartolomeo Col­leoni, Braccio da Montone e Castruccio Castracani.
Materiale bibliografico ce n'era in abbondanza; mi riferisco, in particolare, a Raffaele Solarino - l'ancora insuperato stori­co della nostra contea - ma, oltre che narrare le gesta dei pro­tagonisti, in una fredda e arida esposizione del fatto storico, volevo scavare, sulla base delle loro azioni, nella personalità intima di ognuno di loro, nei sentimenti e nelle passioni che li avevano agitati. Mi appassionavano, sopratutto, le vicende di Giovanni e di Manfredi Chiaramonte, di Bianca di Navarra e di Ber­nardo Cabrera, per il loro aspetto umano, oltre che romanzesco.
Sui Chiaramonte specialmente, in una monografia loro intito­lata, volevo soffermarmi anche sul contributo che diedero all'arte siciliana del Trecento, in uno stile detto, appunto, chiaramontano, sulla testimonianza dei numerosi monumenti che resisto­no ancora all'inclemenza del tempo: chiese, palazzi, conventi, for­tezze e castelli, sparsi un po' in tutta la Siçilia. Volevo ...
Ma sto uscendo dal seminato. Se mi resta tempo, ritornerò sull'argomento, e con ben altro impegno; ora, interessa la genesi di questo modesto, modestissimo lavoretto, da considerare alla stregua di un semplice canovaccio per un lavoro più serio e documentato. E, proprio allo stato di canovaccio, mi pervenne la richie­sta del Giacomazzi. Solo che mi rifiutai di aggiungere alla storia, a guisa di conclusione, la dettagliata e retorica esposizio­ne dello stato economico, industriale, artigianale ed agricolo degli anni Sessanta. Dice: le monografie vanno dappertutto, alla attenzione degli storici, degli economisti, dei filosofi e dei turisti; è necessario, pertanto, dare rilievo allo stato attuale del progresso raggiunto dalle città siciliane, nel quadro della rinascita promossa dalla Regione Siciliana.
Forse aveva ragione il professore, ma mi ripugnava l'idea di esporre qualcosa in cui non credevo. Fu così che rimanemmo tutti e due ancorati nelle nostre posizioni: io non ebbi la prestigio­sa occasione di pubblicizzare la mia firma, e la Collana non eb­be quella di pubblicare una monografia su Modica.
Qualche anno più tardi - il manoscritto era relegato nel fondo di un cassetto -, il professore Raunisi, che della storia era al corrente, mi chiese il permesso di leggerlo; permesso che gli accordai volentieri per i rapporti di cordialissima stima e di amicizia che ci legavano. Vero scopo della richiesta,come ebbi modo di rendermi conto, era quello di riempire la terza pagina del giornale che dirigeva: “Voce libera”. E, in una ventina di puntate, tra il 1966 e il 1967, diede fondo a quello che era ed è un canovaccio, a livello di promemoria.
Il giornale, a quanto lui stesso ebbe a riferirmi, raddoppiò le vendite; non solo, ma da più parti gli era stata fatta la ri­chiesta di farne una pubblicazione in volume; cosa alla quale mi rifiutai di dare la mia autorizzazione.


Giovanni Modica Scala
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