Da “Cava d’Ispica” a “Cava Ispica”
Dialogo, novembre 1985

La cultura locale ha sempre (almeno a memoria d'uomo) espresso l'indicazione dell'importante stazione preistorica ubicata in una valle tra Modica ed Ispica con la denominazione di Cava d'Ispica. Appare scontato il processo di traduzione (dal dialetto Cava ri Ispica), tramite cui la cultura locale ha usato esprimersi. Da due-tre anni, sta però emergendo in loco un nuovo modo di denominazione che, eliminando la "di" specificativa, riduce la dizione a Cava Ispica. Dell'innovazione non è autore un singolo isolato, bensì un nutrito gruppo di ricercatori locali e uomini di cultura che, con motivazioni alla mano, giustificano il cambiamento proposto. Tra questi ricercatori è Giovanni Modica Scala, attento studioso di storia locale e in particolare profondo conoscitore della stazione preistorica. A Lui abbiamo chiesto il perché dell’uso modificato di Cava d'Ispica in Cava Ispica. La domanda non è posta giusto per una disquisizione, ma col fine ben preciso di tramandare alla storia, da queste colonne, il perchè della modifica e le relative motivazioni linguistico-culturali maturate in questi anni.

Piero Vernuccio


Cava Ispica o Cava d'Ispica?
Una differenza sostanziale tra i due toponimi in effetti non esiste e in ogni caso, non dà luogo ad equivoche interpretazioni topografiche; in questo senso, l’impercettibile diversa denominazione è priva d'importanza reale.
Premesso ciò, rimane il fatto che, da un mezzo secolo in qua, parecchi autori - contrariamente a storici, geografi, archeologi e viaggiatori, sia italiani che stranieri, che dal Settecento in poi si sono occupati di questa valle famosa – hanno adottato quella che, anche a parere di chi scrive, è la denominazione più aderente ad una antica tradizione.
La diversa adozione, almeno per la maggior parte dei moderni autori, risale proprio al 1935, quando cioè Spaccaforno ottenne di denominarsi Ispica1, ingenerando una qualche possibile discorde identità tra una cava appartenente ad Ispica e che da Ispica città prendeva il nome: Cava di Ispica, e una cava che aveva assunto, molti secoli fa, dalla contrada da cui aveva inizio, un suo preciso toponimo: Cava Ispica, analogamente alle molte cave che attraversano il nostro territorio e che, dalla contrada cui appartengono, hanno derivato il nome: Cava Fazio, Cava Cucco, Cava Martorina, ecc.
La delibera n.205 del 4 agosto 1934, con la quale il podestà del tempo, Dionisio Moltisanti, accogliendo “l’unanime vivo desiderio della cittadinanza”, chiedeva al governo fascista di autorizzare il Comune di Spaccaforno a cambiare la sua denominazione in Ispica, conteneva il parere favorevole, espresso dal prof. Gaetano Curcio, preside della facoltà di Lettere dell'Università di Catania e Presidente della Società di Storia Patria per la Sicilia Orientale, in data del 12 ottobre 1933. Il documento, che tratta brevemente e malamente l'etimologia della proposta nuova denominazione, afferma che “il Comune di Spaccaforno è posto sul principio della “Valle Ispica” dove essa si innesta nella pianura che si estende sino al Mare Africano. La Valle, da tempo immemorabile, porta il nome di Ispica 2” . Un autorevolissimo diverso avviso, sulla opportunità della variazione, fu ignorato ad arte3.
Un secolo prima del prof. Curcio, un altro figlio di Spaccaforno aveva scritto che “la chiamata Cava, ossia valle angusta e profonda, ben lunga da 6 a 7 miglia, che ha principio e buon progresso in una contrada chiamata Ispica, spettante al territorio di Modica e che, oltrepassante, va a finire a fianco dell'attuale Spaccaforno 4”.
Già nel 1537, molto tempo prima del giureconsulto Spataro, un nobiluomo siracusano, Claudio Mario Arezzo (storico di Carlo V), aveva tracciato una mappa dettagliata della zona, più precisa e completa di quella che, vent'anni dopo, avrebbe steso il domenicano Tommaso Fazello:
“Nec mediocri quidem magnitudine fontes tres inter hunc et Elorina stagna, medium locum obtinent, osti a omnes, duo tantum piscosos lacus facientes. Samueli uni hodie nomen, alteri Sancti Pauli fons. Lacum autem non eodem nomine nam Circhurim vocant. Tertius est in planicie Lafavara dictus, iuxta Spaccafurnum exiguum oppidum, quod Ispicae fundum, ab Ispa flumen deducentes nomine, in pubblicis vocant rationibus. Ispa flumen quod a Motuca quatuor milibus passuum oritur - locum Ispicam dicunt – raptis secum multis fontibus, postquam Spaccafurnum ipsum relinquit: piscoso facto stagno Busaitono nomine, in mare Libycum diffunditur 5”.
E' necessario, a questo punto, risalire al Bellum Punicum di Silio Italico e, precisamente, al verso (XVI, 227) che, tra gli alleati dei Romani, annovera coloro “qui potant Hipsam Alabimque sonoros”, per rendere evidente il clamoroso equivoco, storico e geografico, cui ha dato luogo.
All’origine di esso, secondo il Moltisanti, starebbe il resoconto del Fazello, il quale, trascrivendo alcune annotazioni su Spaccaforno, rileva che nelle sue immediate vicinanze si trovano le rovine di un oppidulum Ipsa Silio dictum, affibbiando allo scrittore latino la paternità di una affermazione mai formulata6 e dando ad intendere che il toponimo Ipsa era una infedele trascrizione di Ispa, termine che doveva ritenersi esatto per la sua assonanza con la vicina Ispica.
In effetti, il Fazello trascrive erroneamente il nome del fiume citato da Silio, ma non accenna minimamente ad una cittadella, anche se lo lascia intendere7. Perchè è più che certo che, al tempo delle guerre puniche, non esistevano in Sicilia una città di nome Ipsa, o Ispa, e un fiume di tal nome nel letto di una cava che, soltanto più tardi, fu detta Ispica8.

I primi documenti a cui possiamo fare riferimento, per avere una testimonianza attendibile circa l'esistenza di due località chiamate Ispica, l’una, e Spaccaforno, l’altra, risalgono a poco dopo il Mille dopo Cristo. Nel diploma del dicembre 1093, relativo alla costituzione della Diocesi Siracusana, ad opera di papa Urbano II, l'elenco delle chiese comprende: Isbacha, Modica, Scicla et Ragusa, cum omnibus eorum pertinetiis et alia castella et casalia9.
Nella Bolla di Alessandro III, data nel maggio del 1168, Isbacha non figura più e, al suo posto, troviamo: Ecclesias Sicli, Ecclesias Ragusae, Ecclesias Mohac et... Ecclesias qui sunt in tenimento Spaccafurni cum pertinentiis suis 10.
Nel ruolo feudale degli adohamenti, che elenca la nobiltà siciliana al tempo di Federico III d'Aragona, nel 1296, e nella successiva Descriptio feudorum sub rege Friderico, le due località risultano nettamente distinte: Curia pro feuda Marsa, Murre, Bendiculi, feudum Spaccafurni; Curia pro Ragusia, Mohac cum Ispica, Siclum, Claramons 11 .
Che Ispica sia esistita prima di Spaccaforno lo proverebbe il diploma di Urbano II; ma non è questo quello che vale rilevare, quanto l'esistenza contemporanea, meno di un secolo dopo, di due località con diverso nome: Ispica e Spaccaforno. Ed è altrettanto interessante notare che le fonti storiche più antiche denominano il feudo "Spaccaforno" e non “Ispicaefundus”, termine adottato soltanto intorno al Cinquecento dai filologi del tempo. I quali reputarono che Spaccaforno fosse la corruzione volgare di Ispicaefundus, nel significato di territorio di Ispica o, più probabilmente, di villaggio posto nella parte terminale (in fondo) della cava nota come Ispica.
Secondo il già citato prof. Curcio, Spaccaforno “si presenta come composto di due voci: “Spacca”, derivazione fonetica di Ispica, e “forno”, voce latina adoperata per significare le numerose tombe a forno circostanti l'abitato 12“. Non mi pare che la ricostruzione sia meritevole di attenzione particolare. Più interessante e seria ritengo quella proposta dal giureconsulto Spataro e ripresa dal notaio Moltisanti.
Secondo questa originale teoria, durante la dominazione normanna, le grotte vuote della Cava vennero genericamente indicate come “speca”, le grotte, dal latino “specus”, la grotta. Con l'uso del dialetto siciliano, nato dalla lingua latina, al plurale "speca", gli abitanti della Cava aggiunsero l'articolo plurale "i"; nacque così l'etimo “i speca” che si trasformò gradualmente in Ispica13.
Questo, il toponimo assunto dal territorio interessato alla vasta necropoli, forse già sin dall'alto Medio Evo; logica e naturale conclusione di un processo fonetico secolare, mi sembra il passaggio del volgare “Cava re speca”, per indicare la Cava delle grotte, nell'attuale “Cavarispica”.


Giovanni Modica Scala

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1.    Il Comune di Spaccaforno fu autorizzato a cambiare la sua denominazione in Ispica, con Regio Decreto 6 maggio 1935. Il cinquantenario della 'storica' variazione, che ricorre proprio quest'anno, è passato completamente inosservato.

2.   E' l'unico brano utile, in un testo assolutamente da respingere. All'errore grossolano in cui l'autore incorre - riteniamo per ignoranza, piuttosto che per malafede – falsando un verso di Silio Italico, si aggiunge la cervellotica ricostruzione etimologica del termine "Spaccaforno", oggetto della nota 12.

3.   Paolo Orsi, Soprintendente alle Antichità della Sicilia Orientale, con lettera n. 477 dei 17 maggio 1933, diretta al Commissario Prefettizio di Spaccaforno, espresse "parere decisamente contrario al mutamento del nome di Spaccaforno in quello di Ispica o in quello deformatissimo di Ispicenia". La polemica storico-letteraria prò e contro il cambio della denominazione interessò buona parte dell’intellighencija locale: l’avvocato Saverio Hernandez, l’insegnante Giuseppe Leontini, il notaio Antonio Moltisanti, il cavaliere Francesco Vaccaro Curto, il sacerdote Giuseppe Bonomo, il professore Eugenio Falcone e parecchi altri ancora. Cfr. G. Calvo: E tu non lo sai?, Ed. Girasa, Ragusa 1982, vol. 11, pp.285-314; e L. Arminio: Spaccaforno nel secolo decimonono, Ed.Martorina, Ispica 1983 , vol. 1, pp. 39-64.

4.   Benedetto Spataro: Della città di Spaccaforno in Sicilia dall'epoca sua più antica alla presente del dì 20 di settembre 1832. Il manoscritto è stato pubblicato da Giuseppe Calvo, in opera citata.

5.   Claudii Marii Aretii. viri patricii Syracusani: De situ insulae Siciliae libellus, in "Rerum Sicularum Scriptores", Francofurti ad Moenum, apud Wechelum, 1579, pp. 597, 45-53.

6.   Cfr. A. Moltisanti: Ispica, già Spaccaforno. Ed.Soc.Tip., Siracusa 1950; e P. Revelli: Il Comune di Modica. Ed. R. Sandron, Milano-Palermo-Napoli 1904, pp.7 e 315, n.3.

7.   Thomae Fazelli: De rebus siculis decades duae, in "Rerum Sicularum Scriptores", nell’edizione di cui alla nota 5. Nella Mediterranea in modum indicis description, il Fazello elenca testualmente: “Ragusa. Motyca , Ptolemaeo. Urbs prostrata, et ea magna, inter Neam et Motycam. Ispia, Syllio, iacet; Ispa vulgo dicta. Spaccafurnus vulgo, sed eruditioribus Ispicaefundus". Nel capitolo I del libro V ( p. 103 ed.cit.), il Fazello accenna, ancora brevemente, a Spaccaforno:"...post Castellatium et Marzam Sinum, iuxta littus maris lacus sunt duo piscosi, Busaitumus et Busaitumellus, qui statim in mare influunt. Oriuntur autem a fontibus indigenis, et non longe a Spaccafurno oppidulo ex fonte cui Favara nomen est". Non è affidabile la traduzione in volgare che ne diede Remigio Fiorentino nel 1574. Su una copia del 1817, l'opera è stata riprodotta anastaticamente dall'Editrice Elefante di Catania, nel 1978.

8.   Cluverio (Philip Cluver: Sicilia antiqua, item Sardinia et Corsica, opera edita a Leida, nel 1619) sostiene "non esservi stata in Sicilia città o terra di tal nome" e nota che "Silio parla del fiume Hipsa e non già di castello o città veruna". Il brano è riportato da G.A. Massa: La Sicilia in prospettiva. Stamperia F. Cichè, Palermo 1709, parte II, p. 127. Cfr., anche, V.M. Amico e V. Statella: Annotazioni al Faze11o, vol.I, p.464, nota 32. Degli stessi autori, si veda: Lexicon Topographicum Siculum, apud P. Bentivenga, Palermo 1757, vol.I, p.317.

9.   Pirrus Rocchus: Sicilia sacra disquisitionibus et notiis illustrata, apud haeredes Petri Coppulae, Panormi 1733, tomo I, p. 618. Il testo riportato dal Pirro ha, in effetti , Isbarha e non Isbacha. La diversa grafia deve imputarsi ad un errore di trascrizione, data la quasi perfetta rispondenza paleografica della lettera 'r' alla lettera 'c' .

10.   Idem, ibidem, p.623.

11.   Cfr. R. Solarino: La contea di Modica. Ed.Piccitto e Antoci, Ragusa 1885-86, vol. II, pp. 40-42.

12.   "Hispicafòrno trasposizione d'accento secondario = spicafòrno per aferesi della sillaba iniziale = Spacaforno per assimilazione vocalica di 'i' con 'a' seguente". Gaetano Curcio, in G.Calvo: op.cit.,vo1.II, p.302.

13.   Cfr. B. Spataro: op. cit. e A. Moltisanti: op.cit., p.62. Frutto di dotta immaginazione ritengo l'etimologia esposta dal Solarino (in op.cit. vo1.I, p.60), secondo cui il toponimo Ispica, importato ed usato dai Sicani, deriva dai termini celtici 'ys' e 'pac', nel significato di 'asili della rupe’.

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