Come e perché il borgo di Ragusa divenne provincia nel 1927
Alla ricerca del tempo perduto (autobiografia inedita), 1991
Contrariamente alle altre province di Sicilia, dove il socialismo aveva stentato a prendere piede, nel Circondario di Modica si era affermato un compatto movimento di classe che, aggregando braccianti agricoli, coltivatori diretti e piccoli affittuari, era divenuto il più forte e combattivo del Meridione. Per merito, appunto, del Circondario di Modica, agli occhi del fascismo Siracusa fu considerata la “provincia rossa del Sud”. Diversamente dall’uomo politico modicano, Ragusa espresse un caso non raro nel regime in espansione. Interventista della prima ora, combattente decorato della guerra 1915-18, prigioniero degli austriaci e liberato dopo la loro sconfitta a Vittorio Veneto, Filippo Pennavaria fu tra i primissimi ad indossare la camicia nera. Con il fanatismo del neofita, sfruttando il malcontento dei reduci, il 24 novembre del 1919 fondò a Ibla l’Associazione Nazionale dei Combattenti, cui si iscrissero un migliaio di aderenti, che costituirono sostanzialmente la base del movimento fascista ibleo. L’11 giugno del 1920, infatti, a Ibla, fu inaugurato il primo Fascio di Sicilia, con segretario politico il giovane legionario fiumano, agli ordini di Gabriele D’Annunzio, Totò Giurato. Il 3 aprile del 1921, Filippo Pennavaria, instancabile propugnatore del verbo mussoliniano, aprì a Ragusa Superiore la sede del Fascio di Combattimento.
Contro il movimento di classe, organizzato maldestramente dal partito socialista e da quello popolare, Pennavaria attuò una feroce lotta di repressione, con le “squadre d’azione”. Con rapide operazioni banditesche, realizzate secondo un preciso piano strategico, esse distrussero le sedi politiche dell’opposizione, i circoli dei liberi lavoratori, le cooperative e le camere del lavoro, con la compiacenza, spesso, delle forze di polizia.
Queste squadracce che, assieme agli esagitati fascisti, arruolavano delinquenti comuni e canagliume politico, seminarono distruzione e morte nei dodici Comuni del Circondario. Nel giro di 40 giorni, dal 19 aprile al 29 maggio del 1921, nella sola Modica si verificarono episodi degni di cronaca nera. Il 19 aprile distrussero le sedi delle organizzazioni proletarie, occuparono il Municipio e costrinsero a dimettersi l’amministrazione comunale. Il giorno successivo assaltarono l’abitazione dell’onorevole socialista Vacirca e lo umiliarono facendogli bere bicchieroni di olio di ricino. Il 21 maggio, fascisti e guardie regie assaltarono a Passo Gatta una colonna di lavoratori, reduci di un’assemblea in campagna. Vittime della vile imboscata, oltre a numerosi feriti, caddero uccisi dal piombo fascista 5 braccianti. Nell’agosto del 1921, invitato dal Pennavaria - che ricopriva la carica di Fiduciario del P.N.F. - Achille Starace (il gerarca che faceva precedere ogni discorso di Mussolini dal “Saluto al Duce!”) presenziò a Ragusa il battesimo dei gagliardetti.
Il 21 aprile del 1922, ennesimo anniversario del Natale di Roma, nella piazza Umberto di Ragusa, Filippo Pennavaria raccolse il giuramento della Milizia che, ad edificazione dei miei pronipoti, trascrivo integralmente: “Nel nome di Dio e dell’Italia, giuro di eseguire gli ordini del Duce e di servire con tutte le mie forze e, se necessario, con il mio sangue, la causa della Rivoluzione fascista”.
Questa la situazione politica nel Circondario di Modica il 12 maggio del 1924, giorno in cui Mussolini si degnò di onorare della sua presenza la popolazione iblea, per accelerare il lento processo di proselitismo. Proveniente in treno da Siracusa, era prevista una fermata a Modica, sede della Sottoprefettura e, come tale, la città più importante del Circondario ibleo. A riceverlo alla stazione ferroviaria non si fece trovare l’avvocato Galfo Ruta - il dissidente che subordinò l’interesse della sua città al suo orgoglio politico personale - ma la medaglia d’oro Umberto Solarino, autentico eroe della prima guerra mondiale e altrettanto autentico cafone diplomatico.
Scopo della sua presenza, più che un atto di omaggio al capo del governo, fu la presentazione, in tono risentito, della sua doglianza per avere avuta consegnata la medaglia d’oro dalle mani di un semplice usciere della Prefettura. Primo errore. Il secondo, madornale addirittura e immotivato, segnò la decadenza politica della città che gli aveva dato i natali. Verità o menzogna che fosse, consigliò il Duce a non fermarsi a Modica, perché un gruppo di sovversivi aveva in animo di attentare alla sua vita. Ci voleva molto meno per convincere Mussolini a cambiare programma. Del pavido cambio, se ne fece carico Filippo Pennavaria, che faceva parte del seguito presidenziale, nella sua veste di Segretario della Maggioranza Parlamentare. Il convoglio proseguì per Ragusa.
Ragusa gli tributò gli onori di un trionfo che avrebbe fatto impallidire di rabbia il console Marcello. Sulla scia del Capo, nel luglio dello stesso anno, vennero a Ragusa Costanzo Ciano e Roberto Farinacci (il ras di Cremona conosciuto come la “suocera del fascismo”). Alla loro presenza, sulla facciata del Fascio di Ibla venne murata una lapide, che riporto a memoria dei posteri:
PRIMA TRA LE CITTA’ SICULE
IBLA
CON UN SUO NUCLEO DI FORTI
ACCETTO’ L’APOSTOLATO DI BENITO MUSSOLINI
FRUSTRANDO I MERCANTI DI UNA FALSA FEDE.
RIDIEDE AL POPOLO IL CULTO DELLA PATRIA
IN QUESTA CASA
FUCINA GENEROSA DI FEDE E DI SACRIFICIO
NEL QUINTO ANNIVERSARIO DELLA SUA NASCITA
NEL SECONDO DELLA MARCIA SU ROMA.
IL FASCIO IBLEO DI COMBATTIMENTO
SI RADUNA A CELEBRARNE IL RITO
NOVEMBRE MCMXIX NOVEMBRE MCMXXIV
Il primo gennaio del 1926, il Consiglio dei Ministri creò il Circondario di Ragusa, alla pari con quello di Modica e di Noto, premessa indispensabile per il già programmato disegno politico. Nel momento in cui si rese “necessario” lo smembramento della provincia di Siracusa, “provincia rossa”, in due distinte provincie, la scelta, vedi caso, cadde su Ragusa. Con provvedimento del 6 dicembre del 1926, il feudo politico di Pennavaria fu elevato a provincia, con il territorio e le dodici città che formavano il Circondario di Modica e che, per mezzo millennio, avevano fatto parte integrante della Contea di Modica.
Mussolini si degnò di comunicare l’evento storico nella stessa data con un telegramma personale: “Oggi, su mia proposta, il Consiglio dei Ministri ha elevato codesto Comune alla dignità di Capoluogo di Provincia. Sono sicuro che col lavoro, colla disciplina e colla fede fascista, codesta popolazione si mostrerà sempre meritevole della odierna decisione del governo fascista. Mussolini”.
A titolo di ringraziamento, nella primavera del 1927, una massiccia rappresentanza di ragusani, cavalieri e nobildonne, si recò in devoto pellegrinaggio alla Casa di Predappio, dove era nato Benito Mussolini; con l’occasione posero una lampada votiva sulla tomba della Madre del Duce.
La nuova provincia onorò l’elezione fagocitando l’antico e glorioso centro autonomo di Ibla, per incrementare il territorio urbano del capoluogo, e la relativa popolazione. Ciò malgrado, Ragusa rimase la provincia più piccola d’Italia, in senso assoluto, con l’umiliante degradazione di Siracusa che, da prima e prestigiosa capitale della Sicilia greca e bizantina, venne relegata al penultimo posto tra le provincie dell’isola.
Che si sia trattato di un atto di pirateria politica, perpetrato dal fascismo, in dispregio di ogni valutazione di fatto, salta agli occhi di chiunque non li abbia foderati di prosciutto. Modica aveva tutte le infrastrutture di una provincia e, a dirla tale, le mancava solo il nome. Ragusa, invece, mancava di tutto: degli uffici finanziari, del Tribunale, dell’Archivio Notarile e delle Scuole superiori. A quel tempo, Ragusa era poco più di un grosso borgo pastorale, sonnolento ed accidioso, che il fascismo elettrizzò come per una massiccia dose di eroina. Me la ricordo com’era ancora nel 1928, quando non erano stati iniziati i lavori per la sede della Prefettura e degli altri enti provinciali a corredo.
Per festeggiare degnamente il decennale della Rivoluzione, il 28 ottobre del 1932, Ragusa diede alle stampe un classico esempio della vuota retorica fascista, infarcita di strafalcioni e di falsi storici, nell’artificiosa ricerca dell’effetto.
Ancora nel 1938, i ragusani erano costretti a venire a Modica per frequentare l’Istituto Tecnico, il Liceo e il Magistrale; e ricordo la iattanza dei caciocavallari, miei compagni di scuola, che deridevano noi modicani con il volgare distico in dialetto “Raùsa è provincia e Muòrica sta mincia”.
Certo, le generazioni successive alla mia, al dato di fatto, ci hanno fatto il callo, come per la gobba o per una gamba più corta avute alla nascita; ma quanti che, come me, seppure in età scolare, hanno sofferto l’oltraggio, malgrado il tempo trascorso e l’autocontrollo imposto dall’educazione, non possono non bollare come antistorico, iniquo, parziale e prepotente, il provvedimento fascista.
Giovanni Modica Scala
Contro il movimento di classe, organizzato maldestramente dal partito socialista e da quello popolare, Pennavaria attuò una feroce lotta di repressione, con le “squadre d’azione”. Con rapide operazioni banditesche, realizzate secondo un preciso piano strategico, esse distrussero le sedi politiche dell’opposizione, i circoli dei liberi lavoratori, le cooperative e le camere del lavoro, con la compiacenza, spesso, delle forze di polizia.
Queste squadracce che, assieme agli esagitati fascisti, arruolavano delinquenti comuni e canagliume politico, seminarono distruzione e morte nei dodici Comuni del Circondario. Nel giro di 40 giorni, dal 19 aprile al 29 maggio del 1921, nella sola Modica si verificarono episodi degni di cronaca nera. Il 19 aprile distrussero le sedi delle organizzazioni proletarie, occuparono il Municipio e costrinsero a dimettersi l’amministrazione comunale. Il giorno successivo assaltarono l’abitazione dell’onorevole socialista Vacirca e lo umiliarono facendogli bere bicchieroni di olio di ricino. Il 21 maggio, fascisti e guardie regie assaltarono a Passo Gatta una colonna di lavoratori, reduci di un’assemblea in campagna. Vittime della vile imboscata, oltre a numerosi feriti, caddero uccisi dal piombo fascista 5 braccianti. Nell’agosto del 1921, invitato dal Pennavaria - che ricopriva la carica di Fiduciario del P.N.F. - Achille Starace (il gerarca che faceva precedere ogni discorso di Mussolini dal “Saluto al Duce!”) presenziò a Ragusa il battesimo dei gagliardetti.
Il 21 aprile del 1922, ennesimo anniversario del Natale di Roma, nella piazza Umberto di Ragusa, Filippo Pennavaria raccolse il giuramento della Milizia che, ad edificazione dei miei pronipoti, trascrivo integralmente: “Nel nome di Dio e dell’Italia, giuro di eseguire gli ordini del Duce e di servire con tutte le mie forze e, se necessario, con il mio sangue, la causa della Rivoluzione fascista”.
Questa la situazione politica nel Circondario di Modica il 12 maggio del 1924, giorno in cui Mussolini si degnò di onorare della sua presenza la popolazione iblea, per accelerare il lento processo di proselitismo. Proveniente in treno da Siracusa, era prevista una fermata a Modica, sede della Sottoprefettura e, come tale, la città più importante del Circondario ibleo. A riceverlo alla stazione ferroviaria non si fece trovare l’avvocato Galfo Ruta - il dissidente che subordinò l’interesse della sua città al suo orgoglio politico personale - ma la medaglia d’oro Umberto Solarino, autentico eroe della prima guerra mondiale e altrettanto autentico cafone diplomatico.
Scopo della sua presenza, più che un atto di omaggio al capo del governo, fu la presentazione, in tono risentito, della sua doglianza per avere avuta consegnata la medaglia d’oro dalle mani di un semplice usciere della Prefettura. Primo errore. Il secondo, madornale addirittura e immotivato, segnò la decadenza politica della città che gli aveva dato i natali. Verità o menzogna che fosse, consigliò il Duce a non fermarsi a Modica, perché un gruppo di sovversivi aveva in animo di attentare alla sua vita. Ci voleva molto meno per convincere Mussolini a cambiare programma. Del pavido cambio, se ne fece carico Filippo Pennavaria, che faceva parte del seguito presidenziale, nella sua veste di Segretario della Maggioranza Parlamentare. Il convoglio proseguì per Ragusa.
Ragusa gli tributò gli onori di un trionfo che avrebbe fatto impallidire di rabbia il console Marcello. Sulla scia del Capo, nel luglio dello stesso anno, vennero a Ragusa Costanzo Ciano e Roberto Farinacci (il ras di Cremona conosciuto come la “suocera del fascismo”). Alla loro presenza, sulla facciata del Fascio di Ibla venne murata una lapide, che riporto a memoria dei posteri:
PRIMA TRA LE CITTA’ SICULE
IBLA
CON UN SUO NUCLEO DI FORTI
ACCETTO’ L’APOSTOLATO DI BENITO MUSSOLINI
FRUSTRANDO I MERCANTI DI UNA FALSA FEDE.
RIDIEDE AL POPOLO IL CULTO DELLA PATRIA
IN QUESTA CASA
FUCINA GENEROSA DI FEDE E DI SACRIFICIO
NEL QUINTO ANNIVERSARIO DELLA SUA NASCITA
NEL SECONDO DELLA MARCIA SU ROMA.
IL FASCIO IBLEO DI COMBATTIMENTO
SI RADUNA A CELEBRARNE IL RITO
NOVEMBRE MCMXIX NOVEMBRE MCMXXIV
Il primo gennaio del 1926, il Consiglio dei Ministri creò il Circondario di Ragusa, alla pari con quello di Modica e di Noto, premessa indispensabile per il già programmato disegno politico. Nel momento in cui si rese “necessario” lo smembramento della provincia di Siracusa, “provincia rossa”, in due distinte provincie, la scelta, vedi caso, cadde su Ragusa. Con provvedimento del 6 dicembre del 1926, il feudo politico di Pennavaria fu elevato a provincia, con il territorio e le dodici città che formavano il Circondario di Modica e che, per mezzo millennio, avevano fatto parte integrante della Contea di Modica.
Mussolini si degnò di comunicare l’evento storico nella stessa data con un telegramma personale: “Oggi, su mia proposta, il Consiglio dei Ministri ha elevato codesto Comune alla dignità di Capoluogo di Provincia. Sono sicuro che col lavoro, colla disciplina e colla fede fascista, codesta popolazione si mostrerà sempre meritevole della odierna decisione del governo fascista. Mussolini”.
A titolo di ringraziamento, nella primavera del 1927, una massiccia rappresentanza di ragusani, cavalieri e nobildonne, si recò in devoto pellegrinaggio alla Casa di Predappio, dove era nato Benito Mussolini; con l’occasione posero una lampada votiva sulla tomba della Madre del Duce.
La nuova provincia onorò l’elezione fagocitando l’antico e glorioso centro autonomo di Ibla, per incrementare il territorio urbano del capoluogo, e la relativa popolazione. Ciò malgrado, Ragusa rimase la provincia più piccola d’Italia, in senso assoluto, con l’umiliante degradazione di Siracusa che, da prima e prestigiosa capitale della Sicilia greca e bizantina, venne relegata al penultimo posto tra le provincie dell’isola.
Che si sia trattato di un atto di pirateria politica, perpetrato dal fascismo, in dispregio di ogni valutazione di fatto, salta agli occhi di chiunque non li abbia foderati di prosciutto. Modica aveva tutte le infrastrutture di una provincia e, a dirla tale, le mancava solo il nome. Ragusa, invece, mancava di tutto: degli uffici finanziari, del Tribunale, dell’Archivio Notarile e delle Scuole superiori. A quel tempo, Ragusa era poco più di un grosso borgo pastorale, sonnolento ed accidioso, che il fascismo elettrizzò come per una massiccia dose di eroina. Me la ricordo com’era ancora nel 1928, quando non erano stati iniziati i lavori per la sede della Prefettura e degli altri enti provinciali a corredo.
Per festeggiare degnamente il decennale della Rivoluzione, il 28 ottobre del 1932, Ragusa diede alle stampe un classico esempio della vuota retorica fascista, infarcita di strafalcioni e di falsi storici, nell’artificiosa ricerca dell’effetto.
Ancora nel 1938, i ragusani erano costretti a venire a Modica per frequentare l’Istituto Tecnico, il Liceo e il Magistrale; e ricordo la iattanza dei caciocavallari, miei compagni di scuola, che deridevano noi modicani con il volgare distico in dialetto “Raùsa è provincia e Muòrica sta mincia”.
Certo, le generazioni successive alla mia, al dato di fatto, ci hanno fatto il callo, come per la gobba o per una gamba più corta avute alla nascita; ma quanti che, come me, seppure in età scolare, hanno sofferto l’oltraggio, malgrado il tempo trascorso e l’autocontrollo imposto dall’educazione, non possono non bollare come antistorico, iniquo, parziale e prepotente, il provvedimento fascista.
Giovanni Modica Scala