Gli errori e gli orrori del fanatismo religioso (parte II)
Dialogo, marzo 1996
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Con l’abolizione dell’Inquisizione in Sicilia, vennero soppressi tutti i Commissariati del Sant’Uffìzio che, come tentacoli di una immensa piovra, avevano coperto l'isola sotto una cappa di terrore.

Ignoriamo se, all’atto della chiusura definitiva, c’erano ancora degli inquisiti in attesa di giudizio, nelle carceri modicane, né lo sapremo mai perché sugli archivi particolari, come su quello generale, il rogo del 27 giugno 1783, come una pesante lastra tombale, ha sepolto una storia di orrori nel buio dell’ignoto.

Nove anni dopo il decreto di soppressione, i due locali che erano stati il carcere e la camera di tortura (carcer torquendorum), furono trasformati in cripta della comunità domenicana, orbata del prestigioso diritto inquisitorio.

Se dobbiamo prestar fede a Serafino Amabile Guastella e alle sue fonti d’informazione, il convento di S. Domenico di Modica si spogliò di botto del suo lugubre manto, a favore di un accentuato bisogno di vivere mondano, quale rivincita di una forse mal sopportata austerità di ruolo.

Nel 1970, la chiesa di S. Domenico fu affidata ai padri salesiani di Modica Alta, in sostituzione dei padri domenicani che, da tempo, si erano trasferiti in altri lidi. Una delle prime cure dei nuovi assegnatari fu quella di sostituire l’antico pavimento in pietra-pece con piastrelle di marmo.

In quell’occasione ottenni, dal presidente della Confraternita, l’autorizzazione ad ispezionare la vasta zona ipogeica sottostante il pavimento che i lavori di riattamento avevano riportato alla luce. Vi scesi con comprensibile emozione, ma se speravo di trovarvi qualcosa da mettere in relazione con il Commissariato modicano dell’Inquisizione, rimasi fortemente deluso. L’ipogeo era la necropoli di una chiesetta preesistente quella del 1461. I loculi, una cinquantina, erano totalmente e vandalicamente distrutti; mancavano possibili lastre epigrafiche o resti del corredo funebre; le ossa, trafugate o ridotte in polvere minuta; insomma, niente di niente, per potere stabilire, anche per approssimazione, l’età della necropoli. Questo vano sotterraneo proseguiva sotto la pavimentazione della piazza Principe di Napoli e terminava in un muro di sostegno dell’alveo coperto del torrente Pozzo dei Pruni, d’epoca notevolmente più tarda.

La delusione non mi scoraggiò affatto: acuì, anzi, l’interesse della ricerca. Il termine ‘Domenicani’ fu per molto tempo usato come sinonimo di Inquisizione; se c’era da cercare qualcosa, bisognava cercarla tra la chiesa e il convento dei frati domenicani.

La mia attenzione si spostò sul corridoio a sud ovest del cortile municipale, di proprietà della Confraternita del Rosario. Il primo scavo, in prossimità del muro perimetrale della chiesa, non diede alcun risultato, malgrado un saggio superiore ai due metri di profondità. Il secondo scavo, a metà del corridoio, ad appena 50 centimetri dal piano terra, rivelò un gradino in pietra-pece. I lavori di scavo proseguirono alacremente, con la mano d’opera fornitami dal Comune, e in quale stato di entusiasmo e di eccitazione, lascio facilmente immaginare. Passo dopo passo, con molta cautela, liberammo diciassette gradini dalla massa di terra battuta compressa, che vi gravitava, ed arrivammo dinanzi ad una apertura rettangolare che dava adito a un vano di ignote dimensioni.

Ci volle quasi un mese per riportarlo alla luce, pieno com’era di materiale di riporto sino a cinquanta centimetri dalla volta a botte; un motocarro impiegò quarantadue viaggi per trasportare la terra sino allo scarico del Dirupo Rosso. A poca distanza dall’entrata trovai una lastra rettangolare di pietra dura, a sezione quadrata, su cui era incisa la data del 1791: certamente l’architrave posta sulla porta, all’epoca della trasformazione del locale in cripta.


A sgombero ultimato, fu necessario un fastidioso lavoro di raschiatura, per liberare il pavimento in grandi lastroni di calcare tenero, dall’appiccicoso strato di fango che lo ricopriva. Alle pareti, nel senso della lunghezza, ventiquattro loculi verticali, con un gancio di ferro a mezz’altezza, per il sostegno di corpi scheletriti o imbalsamati. Lasciai intatto lo strato di fango secco che l’alluvione del 1902 aveva depositato sopra le mensole aggettanti sui loculi. In fondo, di fronte all’entrata, un altare semidistrutto, sormontato da un grande riquadro che un tempo conteneva certamente una tela sacra. Sepolta sotto l'ultimo strato di terra, una grande statua in legno, di angelo o di Madonna, con ancora alcuni tratti coperti di luccicante oro zecchino. La statua, rimasta per molti anni sotto l'umido manto fangoso, era ridotta malissimo; posta ad asciugare, nello stesso ambiente, il legno si sgretolò in minuscole particelle marrone.

Perfettamente integri nei colori originari, il grande affresco sulla volta a botte e i numerosi simboli posti in alto ad ogni singolo loculo, per individuare, se non il nome dell’occupante, il grado rivestito nella gerarchia religiosa o in quella aristocratica. L'uno e gli altri si erano conservati inalterati nel compartimento stagno tra la massa dei detriti e il soffitto, come in una camera d’aria fresca ed umida. Sulla simbologia ho dato la mia versione in alcuni servizi giornalistici del 1971; e non ritengo necessario ripetermi perché ciò che interessa in questa sede è il nesso tra questa scoperta e l’Inquisizione.

Nel soffitto della cripta esiste ancora un'apertura, munita di grata, in corrispondenza del pavimento del salone superiore che, probabilmente nel 1791, venne coperta da lastroni. Serviva forse come presa d'aria o, forse ancora, per calare ai prigionieri il miserabile vitto. Se, per analogia, facciamo riferimento alle carceri sotterranee del Castello21, è anche possibile che gli inquisiti venissero incatenati alle pareti della cella.


Uno stretto corridoietto sulla parete laterale destra, porta ad un altro ambiente, coperto per tre quarti della sua altezza, da un cumulo di terra battuta a strati. I primi saggi portarono alla scoperta di numerosi resti ossei, scheletri interi o parte di essi, inumati in quel locale destinato ad ossario comune per i soci della Confraternita.

Chiesi ed ottenni dal Procuratore della Repubblica del tempo, dottor Augusto Vecchio, mio ottimo amico, l’autorizzazione a riporre i resti in grandi sacchi di plastica, di quelli in dotazione alla nettezza urbana, per inumarli nell’abbandonato cimitero di contrada Loreto22.

Quasi alla sommità dell’ossario, tirammo fuori una grande carrucola di ferro, con il gancio superiore spezzato e con le due ruote scanalate ridotte a rottami arrugginiti. a conferma della mia intuizione che i due locali dovevano essere rispettivamente la prigione e la camera di tortura del locale Santo Uffizio.

Era mia intenzione di procedere allo sgombero totale del vano, nella speranza di trovarvi una qualche via di accesso ad altri locali più interni o sotterranei, ma l’Amministrazione Comunale ritenne d’avermi già dato troppa libertà di movimento e richiamò alla loro normale attività i netturbini e gli stradini che, con grande spirito di partecipazione, avevano effettuati i lavori da me diretti.

Diedi comunicazione della scoperta alla Soprintendenza delle Belle Arti di Catania, che mostrò notevole interessamento e promise l’invio di un esperto per la valutazione degli affreschi. A distanza di un quarto di secolo, lo aspettiamo ancora.



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Giovanni Modica Scala

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21.    Cfr. G. Modica Scala. Le comunità ebraiche, pp. 207-208 e nota 16. Il carcere criminale di Modica era ubicato nei sotterranei del Castello: il terremoto del 1693 non lo danneggiò diversamente dal resto delle fortificazioni, tanto che rimase in attività sino al 1864. Nel 1865. il carcere venne trasferito nei locali dell’ex convento di S. Maria del Gesù, ancora oggi carcere giudiziario.

22.    “In questo pestifero anno 1576, in breve tempo furono tolti di vita più di 3.500 cittadini, dei quali la maggior parte furono sepolti nel Campo dei Morti ’, di cui porta il nome, situato dappresso il convento di S. Maria del Gesù.” Cfr. P. Carrafa: op. cit., p. 81. Anche Raffaele Grana Scolari si è occupato di questo cimitero: “Dietro il carcere - scrive - e propriamente al di sopra della collina denominata dell'Aquila, vi ha il Campo dei Moni' che esisteva fin dal 1600, come ho appreso dalla vita di padre Vincenzo Ragusa, ed ove, nell'epoca del tremuoto (del 1693), furono sepolti in pochi giorni più di tremila persone vittime del flagello. Questo cimitero fu chiuso per ordine superiore, il 1° ottobre 1891". R. Grana Scolari: Cenni storici sulla città di Modica. Libraio Editore Francesco Nifosì, Modica, 1895, p. 125 del II volume


(N.d.R.) A distanza di tanti anni, la Soprintendenza ai BB.CC.AA. ha finalmente iniziato, lo scorso febbraio, i lavori di recupero della Cripta di S. Domenico