Prefazione di Franco Antonio Belgiorno
2004
Nella cameretta vicina a quella di ‘mamma Grazia’, la dimora paterna, Giovanni Modica Scala sentì parlare per la prima volta della grande alluvione del 1902. Raccolse le parole nella loro sacralità di profondo dolore, forse senza nemmeno comprenderle, né sorpreso per la sua giovane età. Il gioco della sua immaginazione fu quello, temerario, di scrivere un giorno un libro che quella storia raccontasse. Un'idea che forse si ridestò ogni volta durante gli umidi inverni della città, quando il fumo delle frasche che ardevano nei forni era l’unico segnale di caldo delle case.
A diciotto anni era già sposato, e gli era nata la prima figlia. Poi la guerra che incendiava il mondo. Vi partecipò come tutti i giovani del suo tempo, ingannati da un patriottismo che avrebbe condotto il Paese alla rovina. Fatto prigioniero ed internato in Germania, scrisse un diario su pezzetti di carta, chissà come recuperati, con una minuscola calligrafia per risparmiare spazio. Lo avrebbe regalato, molti anni dopo, ai figli, divenuti nel frattempo cinque. L'ultimo, il maschio tanto desiderato, Salvatore, porta il nome del padre.
Giovanni Modica Scala ebbe sempre l’idea che scrivere fosse l’atto perfetto per preservare la memoria. La propria, per una tragica alchimia del tempo, l'avrebbe poi persa pochi anni prima di morire. Ma i suoi libri, ancora oggi, colpiscono per la loro sinuosità letteraria, per la perfezione del loro ordito e per l’acribia con cui raccontano gli avvenimenti, anche quelli lontanissimi nel tempo. Com'era nel suo cognome, Modica sarebbe stata per lui e per sempre, una nascosta passione. Struggimento che condivise con altri modicani, scordati oggi nelle nebbie del disamore, in un'epoca caduca ed effimera dove alle parole non corrispondono più le cose.
La Grande Alluvione, è fra i suoi libri, quello che sicuramente è più letterariamente sentito. Scritto per una città che aveva la strana ventura di innamorarsi delle acque, è una storia ben conclusa di avvenimenti tragici. Prima di quella del 1902 vi era stata un'altra alluvione nel 1833, che era stata apportatrice di rovina, e alla quale Michele Rizzone aveva dedicato un Rapporto meteorologico topografico statistico del grande cataclisma avvenuto a Modica. Un documento per nulla letterario, anche se conservò preziose notizie sul clima che sarebbero diventate profetiche settanta anni dopo.
Nel settembre del 1902 la grande alluvione distrusse quasi tutta la parte bassa della città, facendo vittime e danni. È la storia che Giovanni Modica Scala avrebbe raccontato, e che si disvela ancora in questa benvenuta ristampa. Essa conserva una doppia valenza: quella della cronistoria, descritta sulla base di documenti non solo locali. La città narrata è quella del 1902, lontana per il resto della Penisola come il Tibet. Un pittore della rivista L’Illustrazione Italiana, nell’edizione subito dopo l’alluvione, dava a Modica, in un fantasioso disegno, il mare con le barche e i pescatori sullo sfondo del duomo di San Pietro. La città era divisa ancora in due da un torrente che, gonfiandosi, aveva già seminato la morte una prima volta. Le due rive, da cui s'inerpicavano le colline su cui le case s'incrostavano come conchiglie, erano attraversate da ponticelli. Nulla, in ogni modo, che la facesse somigliare a Venezia: solo la fantasia di un redattore lontano, che l’aveva forse vista in una cartolina che evocava l’esotico rappreso nei luoghi distanti e irraggiungibili.
L'altra valenza, riguarda la maniera di come lo scrittore Modica Scala, riuscì a fare degli avvenimenti una vera e propria tela tessuta drammaticamente. Nel libro, che ebbe gran successo appena uscito, oltre alle immagini e alle descrizioni che servono da supporto alla ‘realtà del tempo’ a parlare sono gli scampati, coloro che per una distrazione del destino sarebbero rimasti in vita. Fra di essi la nonna Teresa, con le sue storie che erano rimaste integre, mai amplificate da un solo cedere della memoria. Il bambino d'allora, aveva finalmente scritto il suo libro. Come se dalle ombre di una cameretta, alla luce di un lume a petrolio, i personaggi della grande tragedia, si fossero riuniti in un mirabile gioco di figure.
E gioco letterario il libro è, anche se si attiene ai documenti con quell'amore di studioso che Giovanni Modica Scala ebbe durante tutta la sua esistenza. Lo confermano le migliaia di volumi che avrebbe lasciato nella sua biblioteca, e il gusto per la ricerca di documenti antichi. Gli stessi che, andando a ritroso nella storia, gli avrebbero consentito di scrivere quell'opera sulle Comunità ebraiche nella Contea di Modica, oggi ricercatissima.
La grande alluvione è un’immensa epigrafe per gli sconosciuti che perirono in una sola notte. Talvolta, fra le pagine, sembra sentire le grida delle ombre, il dolore di un tempo riportato alla luce come una tragica pietra preziosa. A più di cento anni di distanza, è probabile che la tragedia che diede voce a pagine di grande bellezza, diventi soltanto polvere del ricordo. Ma ciò che rimarrà per il futuro è il lavoro di uno degli eletti della città. Del chiasso di oggi, la stessa polvere avrà sdegno.
Franco Antonio Belgiorno
A diciotto anni era già sposato, e gli era nata la prima figlia. Poi la guerra che incendiava il mondo. Vi partecipò come tutti i giovani del suo tempo, ingannati da un patriottismo che avrebbe condotto il Paese alla rovina. Fatto prigioniero ed internato in Germania, scrisse un diario su pezzetti di carta, chissà come recuperati, con una minuscola calligrafia per risparmiare spazio. Lo avrebbe regalato, molti anni dopo, ai figli, divenuti nel frattempo cinque. L'ultimo, il maschio tanto desiderato, Salvatore, porta il nome del padre.
Giovanni Modica Scala ebbe sempre l’idea che scrivere fosse l’atto perfetto per preservare la memoria. La propria, per una tragica alchimia del tempo, l'avrebbe poi persa pochi anni prima di morire. Ma i suoi libri, ancora oggi, colpiscono per la loro sinuosità letteraria, per la perfezione del loro ordito e per l’acribia con cui raccontano gli avvenimenti, anche quelli lontanissimi nel tempo. Com'era nel suo cognome, Modica sarebbe stata per lui e per sempre, una nascosta passione. Struggimento che condivise con altri modicani, scordati oggi nelle nebbie del disamore, in un'epoca caduca ed effimera dove alle parole non corrispondono più le cose.
La Grande Alluvione, è fra i suoi libri, quello che sicuramente è più letterariamente sentito. Scritto per una città che aveva la strana ventura di innamorarsi delle acque, è una storia ben conclusa di avvenimenti tragici. Prima di quella del 1902 vi era stata un'altra alluvione nel 1833, che era stata apportatrice di rovina, e alla quale Michele Rizzone aveva dedicato un Rapporto meteorologico topografico statistico del grande cataclisma avvenuto a Modica. Un documento per nulla letterario, anche se conservò preziose notizie sul clima che sarebbero diventate profetiche settanta anni dopo.
Nel settembre del 1902 la grande alluvione distrusse quasi tutta la parte bassa della città, facendo vittime e danni. È la storia che Giovanni Modica Scala avrebbe raccontato, e che si disvela ancora in questa benvenuta ristampa. Essa conserva una doppia valenza: quella della cronistoria, descritta sulla base di documenti non solo locali. La città narrata è quella del 1902, lontana per il resto della Penisola come il Tibet. Un pittore della rivista L’Illustrazione Italiana, nell’edizione subito dopo l’alluvione, dava a Modica, in un fantasioso disegno, il mare con le barche e i pescatori sullo sfondo del duomo di San Pietro. La città era divisa ancora in due da un torrente che, gonfiandosi, aveva già seminato la morte una prima volta. Le due rive, da cui s'inerpicavano le colline su cui le case s'incrostavano come conchiglie, erano attraversate da ponticelli. Nulla, in ogni modo, che la facesse somigliare a Venezia: solo la fantasia di un redattore lontano, che l’aveva forse vista in una cartolina che evocava l’esotico rappreso nei luoghi distanti e irraggiungibili.
L'altra valenza, riguarda la maniera di come lo scrittore Modica Scala, riuscì a fare degli avvenimenti una vera e propria tela tessuta drammaticamente. Nel libro, che ebbe gran successo appena uscito, oltre alle immagini e alle descrizioni che servono da supporto alla ‘realtà del tempo’ a parlare sono gli scampati, coloro che per una distrazione del destino sarebbero rimasti in vita. Fra di essi la nonna Teresa, con le sue storie che erano rimaste integre, mai amplificate da un solo cedere della memoria. Il bambino d'allora, aveva finalmente scritto il suo libro. Come se dalle ombre di una cameretta, alla luce di un lume a petrolio, i personaggi della grande tragedia, si fossero riuniti in un mirabile gioco di figure.
E gioco letterario il libro è, anche se si attiene ai documenti con quell'amore di studioso che Giovanni Modica Scala ebbe durante tutta la sua esistenza. Lo confermano le migliaia di volumi che avrebbe lasciato nella sua biblioteca, e il gusto per la ricerca di documenti antichi. Gli stessi che, andando a ritroso nella storia, gli avrebbero consentito di scrivere quell'opera sulle Comunità ebraiche nella Contea di Modica, oggi ricercatissima.
La grande alluvione è un’immensa epigrafe per gli sconosciuti che perirono in una sola notte. Talvolta, fra le pagine, sembra sentire le grida delle ombre, il dolore di un tempo riportato alla luce come una tragica pietra preziosa. A più di cento anni di distanza, è probabile che la tragedia che diede voce a pagine di grande bellezza, diventi soltanto polvere del ricordo. Ma ciò che rimarrà per il futuro è il lavoro di uno degli eletti della città. Del chiasso di oggi, la stessa polvere avrà sdegno.
Franco Antonio Belgiorno