«Mia nonna aveva un cuore di ferro»
La grande alluvione (ed. 2004), pp. 49-51

«Mia nonna vegliava, con la bambina che dormiva contro il suo seno scoperto, semmai avesse avuto bisogno di nutrirsi, ché allora si ignoravano orari e bilance. Era l'unica creatura ancora viva, su sette che Dio gliene aveva mandate. Almeno questa, Signore, conservamela, per tutti i dolori che ho sofferto. E non sapeva, mia nonna, che non aveva ancora sofferto abbastanza.

Un lampo accecante le fece battere gli occhi abbagliati; il rumore che ne segui fu pauroso. La povera casetta fu scossa dalle fondamenta; i muri tremarono ed i vetri tinnirono per un pezzo. E dopo il primo, altri cinque o sei, in rapida successione, mentre la pioggia accentuava pazzamente il suo ritmo sino a raggiungere limiti inconcepibili. La furia tremenda durò poco, una mezz'ora, ma sembrò un'eternità; rapidamente, il rumore calò di tono sino ad illanguidirsi nel mormorio delle canalette di scolo.

Dal nord, intanto, ovattato dalla lontananza, cominciò a farsi udire un brontolio minaccioso. Fu questione di attimi, poi non ci furono più dubbi. Era un rumore diverso da ogni altro udito prima e, appunto per questo, più pauroso. Era come il rumore lugubre della frana, di una frana immensa che dilagasse a valle da altezze incommensurabili. Poi il rumore assunse la consistenza sonora di mille tuoni rotolanti a velocità spaventosa. Mia nonna balzò seduta sul letto, con i capelli ritti, nel buio assoluto, con la bambina stretta selvaggiamente al petto. Peppe - urlò - è la fine del mondo! La bambina cominciò a strillare. Il rumore era assordante e sopra e intorno a loro; l'aria ne era piena e densa che, a muoversi, vi si sbatteva contro. Il nonno gridò parole incomprensibili, dal suo angolo; in un improvviso sciacquio, la nonna si sentì tirare dal letto, quei letti alti che a salirvi ci voleva la sedia, e si trovò accanto al marito, in piedi sul pavimento, con l'acqua che arrivava loro già a metà coscia. L'avvertimento le esplose nel cervello dalla bocca di nonno Peppe attaccata al suo orecchio: 𝘴𝘶𝘭 𝘴𝘰𝘭𝘢𝘪𝘰!, e presa da una improvvisa speranza nuova, nel panico che l'aveva invasa, si diresse a tentoni verso la scala a pioli che portava al ripostiglio rialzato. La scala galleggiava ed il nonno riuscì a rialzarla contro l'acqua che premeva e ad appoggiarla alla trave di legno. Mentre lui vi si appoggiava con tutto il suo peso, la nonna cominciò a salire, con una mano sola, ché con l'altra teneva artigliato il suo prezioso fardello piangente, ed il nonno dietro di lei, come a proteggerne la ritirata. Poi, all'improvviso, con uno schianto tremendo, la porta cedette e l'onda irruppe sulla preda. La scala fu risucchiata e strappata sotto i piedi in cerca di salvezza. Mia nonna che aveva già una mano sull'orlo del solaio, rimase appesa per un braccio, con il corpo penzolante nel vuoto, per metà immerso nell'acqua. Mio nonno, istintivamente, cercò un appiglio e lo trovò nell'altro braccio di mia nonna. Con la forza della disperazione, si avvinghiarono alla trave e si issarono ansanti sul solaio.

Per un breve attimo, respirarono di sollievo. Il rumore, ora, era più sordo, come il ringhio di una bestia sazia. Le orecchie di mia nonna lo avvertivano come un sottofondo irrilevante; i sensi, all'erta, erano in cerca di un rumore particolare che avrebbe dovuto esserci e non c'era. La percezione della catastrofe avvenne all'improvviso: non si sentiva più il pianto della sua ultima creatura...

Quando la tirarono giù, molte ore dopo, urlava ancora senza più lagrime, gli occhi sbarrati che non vedevano, con le unghie piantate nel petto vuoto.

Il corpicino non fu ritrovato, malgrado le ricerche. Nel lutto generale, il dolore del singolo passò quasi inosservato.

Sia pure lentamente, la vita riprese ed i superstiti, se non dimenticarono, cominciarono a guardare di nuovo all'avvenire. Mia nonna aveva un cuore di ferro, difficile alla resa.

Nove mesi ed una settimana più tardi, nasceva mia madre»


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