15 agosto 1474: il culto della Beata Vergine e l'eccidio degli ebrei a Modica
Le comunità ebraiche nella contea di Modica, pp. 270-278
Il cristiano ha paura del terrificante e sconosciuto mondo futuro, ha paura dello strapotere ecclesiastico del mondo presente; ha paura della morte, paura dei santi, paura del diavolo. Per difendersi fa ricorso all'istinto, che è come trincerarsi dietro una barriera di inerzia intellettuale, crea i tabù, inventa i sortilegi, ricorre agli scongiuri; perpetua, in poche parole, ed incrementa una già esuberante superstizione. È proprio di questo periodo il dilagare delle pratiche magiche che, per la loro natura, sono estremamente vicine a molte pratiche culturali, definite cristiane ma, in realtà, non meno superstiziose; e, con la magia, si riafferma anche la stregoneria: ambedue, forme inferiori di religiosità che esaltano, dopo una lunga vita sotterranea, le credenze di un paganesimo lontano o i riti di una oscura preistoria 2.
È un circolo chiuso: la superstizione nasce dalla paura e crea altra paura; ma, mentre la superstizione ha il crisma della falsità, la paura da cui trae origine è assolutamente vera. L'uomo medievale ha paura perché crede in tutto ciò di cui ha paura e, in questo senso, anche la fede riveste i caratteri della superstizione; fede, paura, superstizione: sentimenti che si contorcono nel buio di una coscienza immatura, come lo shelleyano scorpione nel fuoco. È un processo, più che irrazionale, elementare, che riesce a spiegare come l'amore, attraverso il fanatismo, poteva trasformarsi in odio che non risparmiava nessuno: amici, nemici, o anche sé stessi, gli dei dell'olimpo ed i santi del paradiso cristiano3.

Alla formazione di questo particolare credo religioso isolano, di cui abbiamo messo in evidenza le manifestazioni aberranti della contea di Modica, non furono certamente estranee alcune componenti di natura esterna; dal remoto concetto simbiotico di una religione cristiana paganeggiante, ereditata dal sincretismo greco romano, alla più recente influenza araba, con la esaltazione della guerra santa e con il disprezzo - che superava la stessa paura della morte - per la vita propria e, a maggior ragione, per quella degli altri4.
In questo contesto, dai caratteri sufficientemente delineati si pone il culto in Sicilia, e particolarmente a Modica, per la Vergine Maria, madre di Dio. Se volessimo fissare una data di nascita alla devozione profonda che il popolo modicano, da oltre mezzo millennio, ha sempre tributato alla Madonna, dovremmo risalire ad una speciale «istituzione» di Ferdinando il Giusto. Tra le pragmaticae et institutiones del 13 luglio 1414, infatti, figura stranamente una disposizione sovrana che dà forza di legge al voto - fatto da Ferdinando il 15 agosto 1403, quando era soltanto Infante di Castiglia - di santificare e celebrare solennemente tutte le feste della Beatissima Vergine5.
Il Testa, a cui dobbiamo la trascrizione del capitolo, non ravvisò alcun motivo che giustificasse l'inserimento di questa istituzione tra le nostre leggi medievali. Ed infatti non esisteva alcuna ragione di Stato perché venisse codificato un impegno, strettamente intimo e personalissimo, di cui il sovrano era l'unico, vero contraente. Molto probabilmente, Ferdinando - divenuto re di Aragona e di Sicilia, in forza della decisione del Consiglio di Caspe, nel 1412 - volle rendere universalmente operante nel regno il suo voto, promulgando una complessa disposizione rituale religiosa (non dimentichiamo che il re di Sicilia era anche vicario del pontefice) tra le prammatiche del 1414, nell'intento di influenzare i siciliani ad un culto della Vergine, verso la quale nutriva una particolare devozione, ed acquistare così, secondo una diffusa mentalità aristocratica tipicamente spagnola, maggiori meriti agli occhi della sua Patrona.

Divennero, così, feste religiose di primo piano, a carattere quasi nazionale, tutte le ricorrenze legate alla Madre divina: l'8 settembre, si celebrava la Natività della Beata Vergine Maria; il 21 novembre, la Ripresentazione; 1'8 dicembre, la Concezione; il 2 febbraio, la Purificazione; il 25 marzo, l'Annunciazione.
Altre ricorrenze religiose del calendario cristiano, a carattere territorialmente generale, erano lu jornu di Natali, lu jornu di sanctu Johanni evangelista, la octava di Natali, lu jornu di la Epifania, lu jornu di Pasca, lu jornu di la Ascensioni di lu nostru signuri Jesu Xristu, lu jornu di Avinticosti, lu jornu di lu Corpu di Xristu, lu jornu di sanctu Johanni baptista, lu jornu di sanctu Petru et Paulu, lu jornu di tucti Sancti, per tacere delle festività a carattere locale che, almeno per Modica, si celebravano in onore di San Giorgio e, forse, di San Cataldo.
In queste ricorrenze, a cui vanno aggiunte tutte le domeniche, gli ebrei dovevano astenersi dal lavoro; il riposo assoluto doveva essere osservato, anche e a maggior ragione, in forza della legge di Mosè, nel giorno del sabato e in tutti gli altri giorni delle festività ebraiche. Si può facilmente immaginare quale rilevante danno economico costituisse per gli ebrei l'osservanza delle numerose feste di rito ebraico e delle altrettanto numerose feste di rito romano, che importavano una assoluta inattività per oltre un terzo dell'anno.
In occasione delle quasi giornaliere processioni religiose di quartiere, inoltre, gli ebrei dovevano evitare di mostrarsi in pubblico e tenere chiuse le porte e le finestre delle loro abitazioni, per non turbare, con la loro presenza, il devoto raccoglimento dei cristiani6.

Il 15 agosto, poi, rappresentava la Festa per eccellenza: l'Assunzione, che si celebrava con una solennità non concessa ad alcun'altra ricorrenza religiosa. A partire dalla vigilia, il lavoro cessava nelle officine e nelle botteghe; gli uomini abbandonavano i campi, per rientrare in città ad affollare le Chiese, unendosi agli artigiani, agli operai ed ai commercianti. Le campane suonavano senza interruzione, per richiamare i fedeli agli obblighi di precetto: presenziare ai Vespri, sentire la Messa e dar da mangiare a cinque poveri. Una nota di festosa allegria era data da una folla di uomini e donne in abiti bianchi: teneantur in huius festivitatis vigilia et die, a principio vesperarum usque in finem diei festivitatis, omnes indui de albo ... ita quod vestimentum desuper, tam in manicis quam in aliis, sit album ... Bastava portare una sola volta l'abito bianco perché omnes, deferentes hanc divisam, teneantur jurare quod eam deferant in vita sua, e «tutti» significava proprio tutti: gli homines, le dominae e pure le innuptae che contraevano automaticamente l'impegno di portare la «divisa» anche dopo l'eventuale matrimonio.
A Modica, il rituale non ebbe soltanto la passiva acquiescenza ad una disposizione governativa, ma la partecipazione entusiastica ed appassionata di tutto il popolo che lo trasformò - più ancora che per altre manifestazioni religiose - in una orgia santa, in una esplosione di fede, in un delirio di devozione.

Ma è ancora la paura, sentimento dominante dell'epoca, a catalizzare questo risultato; è la paura che spinge l'uomo a cercare degli intermediari celesti, per evitare gli orrori di un inferno che la fantasia dei predicatori, accentuando i toni danteschi, descrive come un inconcepibile luogo di tormento, dove il peccatore è condannato a bruciare in un fuoco senza fine. L'intercessione poteva trasformare l'ergastolo del l'inferno in una condanna a tempo nell'anticamera del paradiso; e i preti assicuravano che la permanenza nel purgatorio, posto di transitoria tortura, poteva essere notevolmente abbreviata da consistenti elemosine alla Chiesa o da opportuni acquisti di indulgenze. Ma l'intercessione, per ottenere risultati positivi, doveva essere effettuata da un elemento divino che godesse autorità e prestigio presso Dio; ed allora, chi più indicato della Madonna? Oltre che essere la madre di Gesù, era sopratutto una donna che, seppure investita di funzioni divine, era legata per nascita alla terra; l'uomo, attratto sempre dal fascino di una dolce figura femminile, era più portato a riversare nel suo seno materno i propri affanni e a riporre nella sua infinita bontà le proprie speranze. Guai, perciò, a toccarne i meriti o a metterne in dubbio le virtù; ecco perché sin dall'inizio, questo semimillenario culto è stato caratterizzato da un fanatismo acceso e da una passione incontenibile. Ancora oggi, il popolo canta lodi ardenti e vivissime alla Madonna «regina degli angeli, imperatrice del Cielo e dispensatrice della divina clemenza»7.

I conti di Modica, nelle tre generazioni degli spagnoli Cabrera, incoraggiarono il naturale sentimento della popolazione, eleggendo a loro protettrice la Beata Vergine, che godeva dell'alto favore dei sovrani di Spagna, a tutto scapito di San Giorgio, imbelle protettore degli odiati Chiaramonte. La tradizione, dopo i primi decenni, divenne così forte che, ancora oggi, la folla più numerosa di fedeli è quella che segue la Madonna della Resurrezione o quella delle Grazie; in memoria della antica divisa, la processione che accompagna quest'ultima, è formata da fanciulle in completo abito bianco e da ragazzi che, al posto della «divisa», portano il bianco simbolo in una fascia trasversale.
La festa dell'Assunzione, a Modica, ebbe per gli ebrei lo stesso significato e le stesse conseguenze del venerdi santo, nelle altre città della Sicilia. Fino al 1474, nulla era mai successo di increscioso o di irreparabile, tra le due comunità, cristiana ed ebrea; ma se qualcosa doveva accadere, non poteva accadere che nel giorno della più sentita celebrazione religiosa: il 15 agosto. Nulla era successo, fino a quel momento, solo perché gli ebrei non ne avevano dato motivo o perché i cristiani avevano dimostrato una notevole ed encomiabile capacità di tolleranza?

Tenuto conto delle proporzioni dell'eccidio e degli episodi di crudeltà che l'accompagnarono, ritengo che siano stati gli ebrei a possedere una immensa ed incredibile capacità di soffrire, sopportando in silenzio e senza reagire, soprusi ed umiliazioni di ogni genere. Ma i cristiani li aspettavano al varco, come i cacciatori la selvaggina; li odiavano e li disprezzavano perché questo era stato loro insegnato sin dalla nascita e nessuno, mai, aveva avuto per loro una parola di comprensione o un gesto di fraternità. Tutto ciò che di più brutto e di più infido esisteva al mondo, era necessariamente ebreo; ebreo era sinonimo di eretico 8 e, come tale, nemico di Dio e degli uomini di Dio. L'ingiuria più grave che si potesse fare ad un nemico, era quella di trattarlo da ebreo: se sugnu beddu mi fici Ddiu, se sugnu lariu mi fici Ddiu, talietti tu ca si facci ri juriu9. Se ha perso, nel corso dei secoli, il suo antico veleno, il «detto» è ancora vivo ed usato tra le classi più umili ed ha conservato tutto intero il suo significato dispregiativo. Un altro detto, ancora, versione estrema di un comandamento cristiano, contiene, nel suo trasparente messaggio, una chiara allusione alla bassa considerazione in cui nella contea si tenevano gli Ebrei: Fa' beni a gn'juriu, ca su nun tô renni iddu, tô renni Ddiu. Come a significare che il bene deve essere fatto «anche» agli ebrei, i nemici per eccellenza, gli esseri più abietti dell'umanità, incapaci di riconoscenza; e, appunto per questo, più accetto a Dio.
Capita anche di sentire il volgo fare ancora uso di un avvertimento di cui certamente ignora l'antico significato: varditi rô ggbirbinu. Oggi, il «guardati dal gerbino» è l'invito a diffidare di un uomo di razza diversa dal siciliano10; ma nel medioevo, i «gerbini» erano i nativi delle Gerbe (l'attuale Djerba, nel golfo di Gabes, in Tunisia), arabi o, più probabilmente, ebrei, inizialmente prigionieri di guerra di Manfredi Chiaramonte, conte di Modica, nella fortunata campagna del 1388, ed i cui discendenti erano rimasti inseriti nella comunità modicana, in condizione di libertà o di schiavitù. Se, come mi piace pensare, il gerbino importato a Modica apparteneva all'etnia ebraica dell'isola delle Gerbe, pericoloso ricettacolo di corsari di diverse razze, l'avvertimento è da intendere: «guardati dall'ebreo» 11. Corrisponderebbero il periodo storico, circa un secolo dopo la cattura degli antenati del ceppo modicano, e la generale animosità e diffidenza verso gli ebrei; in più, è da rilevare che «il detto» è noto soltanto nei territori dell'ex contea, mentre è assolutamente ignoto fuori di essi 12.

Che cosa fece sì che la sopportazione raggiungesse i limiti della rottura? La data dell'eccidio non ammette altri motivi, all'infuori di quelli religiosi. E, come in altri episodi di fanatica violenza, seppure di minore gravità, la scintilla partì da un pulpito.
(...)

Non so cosa sia stato a dar fuoco alla miccia, se un gesto o una frase irriverente mormorata sottovoce, o un commento profano che incrinò la sacralità del momento; certo è che all'improvviso, la spaventosa polveriera esplose in tutta la sua cieca e mostruosa potenza. Gli uomini, nelle bianche divise sacre, ubriachi d'incenso e come in preda ad una esaltazione ipnotica, eccitati dalle donne scarmigliate ed urlanti come erinni, assordati dai rintocchi delle campane di bronzo che scandivano il tempo come una marcia di morte, si riversarono come un'onda mugghiante sul piazzale della Chiesa. I primi fiori rossi di sangue sbocciarono forse ai piedi della Madonna; poi, l'orda dilagò verso il ghetto e l'isterismo si comunicò ai pavidi, ai tiepidi ed agli indifferenti degli altri quartieri che, chiamati a gran voce, scesero a valanga nella valle, ad ingrossare la consistenza di quella pazza crociata, ad esasperare quel l'assurda manifestazione di furia collettiva.

È così che immagino la strage di Cartellone: un macello compiuto come un atroce rito sacrificale, un immenso spargimento di sangue innocente, al suono sempre più ossessivo ed assordante di tutte le campane che chiamavano a stormo; un rumore bronzeo di tuono, continuo ed uniforme che faceva da sottofondo al ruggito degli assassini, all'ansimare su per la costa delle belve cristiane avide di stanare la preda, alle inutili invocazioni di pietà, alle urla dei feriti, ai gemiti dei moribondi, alla blasfema esaltazione corale di una Maria senza peccato. Perché questo fu il significato del massacro: un olocausto cruento di vittime umane, rassegnate ed inermi, sull'ara della Madonna.

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2.    Ctr. R. Manselli: Il Cristianesimo nel tardo Medioevo. In «Storia delle religioni». Ed.Utet, Torino, 1971, Val. IV, p. 320.

3.    Secondo Bertrand Russel, filosofo e matematico tra i maggiori del nostro secolo, premio Nobel per la letteratura, «la religione si basa, essenzialmente, sulla paura. In parte è il terrore dell'ignoto, in parte il bisogno istintivo di immaginare qualcuno che ci aiuti e ci protegga. In principio, dunque, fu la paura: paura dell'occulto, paura dell'insuccesso, paura della morte. La paura porta alla crudeltà, ed è per questo che crudeltà e religione stanno bene insieme. Gli impulsi umani, alla base della religione, sono: paura, presunzione e odio). In: Perché non sono cristiano. Ed. Longanesi, Milano, 1962, pp. 27 e 48.

4.    Cfr. Di Giovanni: op. cit., p. 189: «, .. nondimeno i Cristiani di Noto covando maggior odio per essa (la cieca nazione), che non nutrivan d'affetto per la loro vita ... ». Il Guastella (op. cit., p. LXXXIII) afferma che «la fanatica intolleranza che fa sguainarci i coltelli e slegar membra, a onore e gloria di un santo, è una triste reliquia dell'Islam e che i pettegolezzi rabbiosi sulle preminenze e sulla virtù taumaturga di questa o quell'altra immagine, ci sono stati infusi da quella luciferina etichetta spagnola che si prestava riottosa al culto dei santi plebei, se i re non ne riabilitavano la nascita con la grandezza di Spagna».

5.    Pragmaticae et Institutiones regis D. Ferdinandi primi, 13 julii 1414, VII indict., in Testa: op. cit., tomo I, p. 195.

6.     « ... omni die quantucumque passa la processioni per alcuna ruga ki hagia Judei, ki perfinu ki sia passata, claudanu li loru fenestrali et porti oy appartanu oy taliter reverenter stent quantu passa la Cruchi quod non offendant aspectum fidelium xristianorum». Da L. La Rocca: Gli Ebrei di Catania nell'osservanza delle feste di rito romano. In A.S.S.O., anno V, 1908, p. 241.

7.    «Oh! ri l'ancili rigghina, ri lu cielu 'mperatrici, la crimenza to' divina, scìgghiu a tia rispensatrici ... » È la prima quartina di una coroncina, vecchia di parecchi secoli, attribuita all'abate Giuseppe Vizzini, dei Padri Mercedari di Modica. La devozione mariale toccò punte altissime nel corso del Quattrocento e, proprio intorno al 1470-75, nacque il culto della Madonna di Loreto e si fondarono le prime confraternite del Rosario.

8.    Nel «contrasto» di Ciullo d'Alcamo, a certe proposte un po' spinte dell'innamorato, la pudica fanciulla ribatte: Segnomi in patre, en filio, e di santo Mateo;
so ca non se' tu retico, o figlio di giudeo ...

9.    Se sono bello mi ha fatto Dio, se sono brutto mi ha fatto Dio; guardati tu che hai la faccia del giudeo, cioé del traditore, dell'essere odioso ripudiato da Dio.

10.    Per il prof. Nannino Ragusa, cultore di studi glottologici e filologici dell'attuale volgare siciliano, al quale debbo i tre «detti» sui giudei, Girbinu è detto di un uomo dai capelli rossi. Il Traina, nel suo vocabolario, riporta: «Detto degli occhi: cilestre». Nell'una e nell'altra versione, è chiaro il concetto della diversità di razza.

11.    Ancora oggi, l'isola di Djerba ospita tre diverse etnie: quella degli arabi, quella degli ebrei e quella dei beduini, che convivono in condizioni di assoluta uguaglianza ed in buona armonia, pur professando religioni diverse e malgrado la difficile situazione politica del vicino Medio Oriente.

12.     Sulla sopravvivenza di alcuni «detti» locali, ancora più antichi, è interessante notare, per l'analogia, quello coniato dai vassalli della contea, nel lontano 1299, ad eterna infamia dei Vizzinesi che si erano affiancati alle truppe angioine, nella distruzione di Chiaramonte e nella strage dei suoi abitanti; «detto» che è ancora citato, malgrado si sia perso il ricordo del grave fatto di sangue da cui ha avuto origine: lassa lu scursuni e pista la testa di lu Vizzinisi, lascia il serpente e schiaccia la testa al Vizzinese, perché - tra i due - è il più pericoloso.

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