Sandbostel
29 ottobre 1944
Il guaio peggiore della prigione di un campo di concentramento, a parte lo stomaco eternamente vuoto, è il complesso di noia e di malinconia, potenziato dalla solitudine. Un antidoto, di notevole efficacia, è costituito dalle sigarette, dai libri e dal diario, per quanti si alimentano di questa mania. Ognuno di noi ha avuto il permesso di portarsi appresso un libro, ma un libro costituisce la distrazione di un solo giorno. Ed allora, abbiamo escogitato un sistema che permette di scambiarci i libri (possibilità non prevista o proibita dal regolamento). Uno chiede il permesso di andare a gabinetto; se lo ottiene, ci va. Si porta, tra camicia e pelle, il suo libro; va a gabinetto e lo depone sotto il secchio della spazzatura, dove trova un libro diverso, lasciato da un altro.
Tra lettura, qualche fumatina e qualche nota di colore, il tempo pare scorra più velocemente. Oggi, poi, ho trovato un altro passatempo, incidendo sul muro di cemento, con l'ago che mi è servito per rattoppare calzini e calzoni, il ricordo del mio passaggio. E' un vezzo comune a turisti e scolari, quello di incidere una frase, un motto o una semplice firma, sui muri dei gabinetti o delle prigioni, sulle colonne di un monumento o sui banchi della scuola. lo non ho resistito alla tentazione.
Era quasi buio quando ho finito di incidere, sul muro, i versi finali di una poesia che, nella sua interezza, conservo per il mio diario:
Frammenti d'anima
bruciano nell'ansia
dell'ora ultima.
Nell'immobilità dei sensi
ansita greve la vita.
Per i sospesi silenzi,
nei baratri profondi
precipita l'inesorabile.
Ho tracciato questi versi, poveri forse di poesia, ma ricchi di reali sensazioni, in un piccolo spazio, lasciato libero da precedenti versaioli, epigrammisti e roba del genere. Con una linea sottile, ho separato il mio breve cantico da una frase russa dal significato oscuro, e da una laconica annotazione, piuttosto prosaica, del francese Joseph Daponcel:"Trois jours passés ici".
I quattro muri della mia cella sono letteralmente arabescati da scritte in tre lingue: russa, francese ed italiana. Ce n'è una che dice: "I ricordi più belli tornano alla mente quando ci troviamo tra queste mura. Giacchè viviamo di ricordi, perchè non passiamo la vita in prigione?".
La postilla di un altro anonimo, dissente: "Certo, la vita si apprezza meglio se vista attraverso la grata di una prigione; appunto per questo è preferibile starne fuori".
Motti, osservazioni, semplici firme illegibili o anche versi che sono passati nella storia della letteratura (sull'architrave della mia porta ci sono tracciati due versi di Dante:"Nati non fummo a viver come bruti, ma per seguir virtude e conoscenza"), bestemmie fantasiose, insulti di vario genere, rivolti ai tedeschi (Deutschland unter alles, parafrasando l'orgogliosa sfida di Hitler: Deutschland uber alles) riempiono le quattro pareti sino al soffitto e non hanno risparmiato neppure la porta d'acciaio.
Intagliati profondamente sul tavolato su cui depongo le mie ossa, si leggono i primi due versi inglesi di Stardust, modificati nel finale: "Sometimes I wonder why I spend my lonely night,dreaming of a woman ... ". Dal complesso lavoro d'incisione, c'è da scommetter che il paziente sognatore di una donna nel carcere ne ha avuto per almeno una quindicina di giorni.
Frammenti d'anima
bruciano nell'ansia
dell'ora ultima.
Nell'immobilità dei sensi
ansita greve la vita.
Per i sospesi silenzi,
nei baratri profondi
precipita l'inesorabile.
Ho tracciato questi versi, poveri forse di poesia, ma ricchi di reali sensazioni, in un piccolo spazio, lasciato libero da precedenti versaioli, epigrammisti e roba del genere. Con una linea sottile, ho separato il mio breve cantico da una frase russa dal significato oscuro, e da una laconica annotazione, piuttosto prosaica, del francese Joseph Daponcel:"Trois jours passés ici".
I quattro muri della mia cella sono letteralmente arabescati da scritte in tre lingue: russa, francese ed italiana. Ce n'è una che dice: "I ricordi più belli tornano alla mente quando ci troviamo tra queste mura. Giacchè viviamo di ricordi, perchè non passiamo la vita in prigione?".
La postilla di un altro anonimo, dissente: "Certo, la vita si apprezza meglio se vista attraverso la grata di una prigione; appunto per questo è preferibile starne fuori".
Motti, osservazioni, semplici firme illegibili o anche versi che sono passati nella storia della letteratura (sull'architrave della mia porta ci sono tracciati due versi di Dante:"Nati non fummo a viver come bruti, ma per seguir virtude e conoscenza"), bestemmie fantasiose, insulti di vario genere, rivolti ai tedeschi (Deutschland unter alles, parafrasando l'orgogliosa sfida di Hitler: Deutschland uber alles) riempiono le quattro pareti sino al soffitto e non hanno risparmiato neppure la porta d'acciaio.
Intagliati profondamente sul tavolato su cui depongo le mie ossa, si leggono i primi due versi inglesi di Stardust, modificati nel finale: "Sometimes I wonder why I spend my lonely night,dreaming of a woman ... ". Dal complesso lavoro d'incisione, c'è da scommetter che il paziente sognatore di una donna nel carcere ne ha avuto per almeno una quindicina di giorni.