Amburgo (tra le macerie dei bombardamenti)
28 febbraio 1945
A fine agosto del 1943, ebbi modo di vedere a Rodi fotografie orrende sugli effetti spaventosi, orribili, del nuovo tipo di bombe, pubblicate dalla rivista tedesca Signal, che si pubblicava anche in lingua italiana. Testimonianze agghiaccianti della crudeltà umana, operata contro una popolazione impreparata al tremendo esperimento, mi avevano dato, a Rodi, il brivido di artefatte scene di orrore, quasi irreali, quasi impossibili da credere, come realtà di un mondo lontano, estraneo alla mia realtà di allora.
Oggi ho sotto gli occhi parte di quello che ho visto in fotografia: il fuoco ha distrutto più delle bombe dirompenti, incenerendo intere costruzioni, liquefacendo tutte le travature in ferro, come fossero state di cera; ed è facile inserire in questo scenario le altre testimonianze fotografiche: vedere colare il ferro fuso dal calore infernale, in chiazze enormi, rapprese su cortili e marciapiedi di cemento crepato; vedere ardere, come torce, uomini, donne e bambini innocenti, con i piedi imprigionati nell'asfalto bollente delle strade, in visioni che richiamavano alla mente macabri festini neroniani. Una di queste fotografie meriterebbe il premio Pulitzer,per aver fermato nel tempo un attimo di intensa drammaticità; e non si può fare a meno di chiedersi come un fotografo, dilettante o professionista, in quella spaventosa circostanza, abbia potuto fissare sul negativo una pagina di guerra che suona vergogna per tutta l'umanità: una giovane donna, con gli abiti in fiamme, che trascina con la mano un bambino, anch'esso avvolto dal fuoco, verso un impossibile aiuto, con i piedi nudi che staccano dalla strada bave d'asfalto.
Cosa penseranno di questa guerra, le generazioni future? Quale sarà il loro giudizio su questo mostruoso misfatto? So soltanto quello che ne penso io, prigioniero dei connazionali delle vittime: che sulla bandiera inglese, e su quella americana, rappresenta una macchia che tutti i secoli a venire non potranno mai cancellare. Ho visto con i miei occhi centinaia di cartelloni, con una grande croce bianca, dipinta su sfondo grigio scuro, piantati su cumuli enormi di rovine; ci sono quartieri interi rasi al suolo, e sulle macerie di quelli che furono imponenti palazzi, si innalza questo macabro simbolo di morte; sta a significare, infatti, che sotto questi tumuli giganteschi, giacciono ancora i cadaveri di quanti cui, per la immensità della catastrofe, fu impossibile porgere aiuto. Pensare che, nel momento in cui veniva piantata la croce bianca, forse c'erano esseri ancora in vita, nei sottoscala e nelle cantine, mi fa venire la pelle d'oca.
Lo spettacolo che mi si offre agli occhi ogni giorno, in ogni via, è di quelli che non si dimenticano per tutta la vita; e la maledizione che sale violenta alle labbra non fa più distinzioni tra amici e nemici, tra alleati ed avversari: homo homini lupus, è l'uomo il nemico più crudele dell'uomo. Bandita la pietà dall'animo, il velleitarismo politico trasforma gli uomini in animali feroci che segnano a loro onore, e a prestigio della patria, la distruzione e la morte portate in casa di altri uomini, uomini che hanno tutti una mamma che trema per la loro sorte, siano essi tedeschi o inglesi, che portino una divisa che differisce solo nella foggia e nel colore, che credano o non credano nella legittimità della guerra.
Oggi ho sotto gli occhi parte di quello che ho visto in fotografia: il fuoco ha distrutto più delle bombe dirompenti, incenerendo intere costruzioni, liquefacendo tutte le travature in ferro, come fossero state di cera; ed è facile inserire in questo scenario le altre testimonianze fotografiche: vedere colare il ferro fuso dal calore infernale, in chiazze enormi, rapprese su cortili e marciapiedi di cemento crepato; vedere ardere, come torce, uomini, donne e bambini innocenti, con i piedi imprigionati nell'asfalto bollente delle strade, in visioni che richiamavano alla mente macabri festini neroniani. Una di queste fotografie meriterebbe il premio Pulitzer,per aver fermato nel tempo un attimo di intensa drammaticità; e non si può fare a meno di chiedersi come un fotografo, dilettante o professionista, in quella spaventosa circostanza, abbia potuto fissare sul negativo una pagina di guerra che suona vergogna per tutta l'umanità: una giovane donna, con gli abiti in fiamme, che trascina con la mano un bambino, anch'esso avvolto dal fuoco, verso un impossibile aiuto, con i piedi nudi che staccano dalla strada bave d'asfalto.
Cosa penseranno di questa guerra, le generazioni future? Quale sarà il loro giudizio su questo mostruoso misfatto? So soltanto quello che ne penso io, prigioniero dei connazionali delle vittime: che sulla bandiera inglese, e su quella americana, rappresenta una macchia che tutti i secoli a venire non potranno mai cancellare. Ho visto con i miei occhi centinaia di cartelloni, con una grande croce bianca, dipinta su sfondo grigio scuro, piantati su cumuli enormi di rovine; ci sono quartieri interi rasi al suolo, e sulle macerie di quelli che furono imponenti palazzi, si innalza questo macabro simbolo di morte; sta a significare, infatti, che sotto questi tumuli giganteschi, giacciono ancora i cadaveri di quanti cui, per la immensità della catastrofe, fu impossibile porgere aiuto. Pensare che, nel momento in cui veniva piantata la croce bianca, forse c'erano esseri ancora in vita, nei sottoscala e nelle cantine, mi fa venire la pelle d'oca.
Lo spettacolo che mi si offre agli occhi ogni giorno, in ogni via, è di quelli che non si dimenticano per tutta la vita; e la maledizione che sale violenta alle labbra non fa più distinzioni tra amici e nemici, tra alleati ed avversari: homo homini lupus, è l'uomo il nemico più crudele dell'uomo. Bandita la pietà dall'animo, il velleitarismo politico trasforma gli uomini in animali feroci che segnano a loro onore, e a prestigio della patria, la distruzione e la morte portate in casa di altri uomini, uomini che hanno tutti una mamma che trema per la loro sorte, siano essi tedeschi o inglesi, che portino una divisa che differisce solo nella foggia e nel colore, che credano o non credano nella legittimità della guerra.