Tra storia e cronaca
Ed. numerata, Modica, 1991
Della mia inesausta necessità di letture, ho avuto modo di accennare in un mio recentissimo lavoretto autobiografico, che mi ha porto l'occasione di confessare la presuntuosa mania di legare il mio nome a poesiole e novellette da dare in pasto alla curiosa attenzione delle ragazze del Magistrale.
Anni dopo, il campo di concentramento in Germania modificò bruscamente questo infantile bisogno di dar corso alla fantasia, nella drammatica stesura di una realtà vissuta. Questa duplice maniacale vocazione, di leggere e di scrivere, trovò terreno idoneo ad una formazione più seria, nella dimestichezza con autentici maestri di letteratura, di storia, di filosofia e di arte.
Ripudiato definitivamente il fatuo indirizzo adolescenziale - già incrinato dall'esperienza maturata a Noto, nell’ultimo anno anteguerra - trovai nello studio di alcune discipline quell'appagamento intellettuale che anni di vieto scolasticismo non erano riusciti a procurarmi.
Non è questa la sede per una esposizione analitica sull'argomento; la breve nota serve ad inquadrare soltanto la mia attività negli anni che seguirono. Con una famiglia numerosa a carico, le nozioni apprese ed una certa chiarezza espositiva mi diedero la possibilità di incrementare l'insufficiente stipendio mensile che mi passava il Comune.
Per venti anni, dal 1948 al 1968, trattai gli argomenti più disparati in un lavoro, cosiddetto “del negro”, che mi procurò parecchi clienti nel campo del giornalismo: io sfornavo articoli su articoli che altri - pagandomi cifre, allora notevoli - firmavano con il loro nome.
Non parliamo, poi, di lavori molto più impegnativi quali, ad esempio, le tesi di laurea, profumatamente pagate in denaro sonante. Ad istradarmi in questa redditizia professione, fu il carissimo e rimpianto Raffaele Poidomani, già noto allora in campo letterario, entro e fuori le mura cittadine, per alcune opere che, in quanto a soggetto e a stile, non sfigurano accanto al Verga o al Capuana.
Dotato di larga cultura e di ingegno vivo e bizzarro, realistico osservatore del mondo in cui aveva trascorso gli anni della prima giovinezza, Raffaele Poidomani è riuscito a dare in “Carrube e cavalieri” la rappresentazione obiettiva, vigorosa e sapida d’umorismo, di una realtà locale che affonda le radici nel medioevo feudale e in cui si muovono alcuni caratteristici tipi della piccola nobiltà di provincia.
Avverso all’accademismo, quanto a stile, dotato di una immaginazione mediterranea che si nutre di cose reali, di forme, di suoni e di colori, Poidomani, in “Tempo di scirocco”, raggiunge vette altissime di lirismo verista, venato di malinconia, di quel senso di impotenza contro un destino avverso, da tragedia greca. Due opere, tra le tante, la cui componente stilistica, malgrado ripetuti tentativi, nessuno è riuscito ad imitare; due opere che, pure ignote al grande pubblico nazionale per difetto di patroni, marcano con segno profondo la letteratura contemporanea.
Novellista insuperato e maestro di un genere dotto ed estroverso, oltre che poeta estemporaneo, Raffaele Poidomani aveva una conoscenza perfetta della paleografia - acquisita nella trascrizione di centinaia e centinaia di documenti dell’archivio della Contea di Modica - che lo abilitava a stendere delle tesi storiche di eccezionale importanza, per la componente documentaria, assolutamente originale ed inedita.
Molte erano le richieste che gli venivano da più parti della provincia, e da fuori provincia; tanto che, ad un certo momento, ebbe bisogno di un collaboratore. Io feci al suo caso. Con il suo aiuto, appresi la difficilissima decifrazione paleografica latina, irta di segni incomprensibili e di abbreviazioni geroglifiche; e il mio apporto divenne essenziale quando i suoi occhi non furono più in grado di leggere la sbiadita grafia medievale. Tante furono le tesi che, in perfetta armonia di intenti, concepimmo ed elaborammo insieme; quasi uguale era la conoscenza della materia storica e, perfettamente uguale, il bisogno di procurarci dei fondi per vivere dignitosamente.
Raffaele Poidomani si rivelò una miniera ricchissima di documenti medievali, in volumi di Lettera che l'amicizia con Raffaele Grana Scolari - archivista del Comune - gli aveva dato modo di trattenere. Parecchi di questi volumi - ognuno contenente molte centinaia di documenti tra il Quattrocento e il Settecento - rimasero in mio possesso quando un ictus cerebrale spense la vivida intelligenza del mio amico. Detto per inciso, questi volumi, qualche anno fa, li ho restituiti alla Sezione dell'Archivio di Stato di Modica. Un prezioso e voluminoso documento del 1474, che Raffaele mi diede in visione, prima di venderlo al professore Enzo Sipione, dell'Università di Catania (io non avevo i mezzi per acquistarlo), costituì l'argomento basilare per la monografia sulle comunità ebraiche della Contea di Modica, che diedi alle stampe nel 1978.
Sulle vicende di questo archivio comitale ho avuto più volte occasione di trattare, e non è questa la sede per trattarne ancora. Per tornare in argomento, la ricerca di tutto il materiale legato alla mia attività giornalistica, ha dato un esito deludente. Non ho mai avuto cura di conservare le testimonianze della mia pubblicistica e, quel poco che ho trovato, lo debbo al caso o, per la maggior parte, all’amore di mia moglie che, delle mie cose concepiva una valutazione smisurata, quasi sacrale.
Ed è nel ricordo di lei, accorato di rimpianto, che mi sono deciso a trascrivere le briciole che restano, ad uso dei miei figli e dei miei nipoti. Molto, moltissimo materiale giornalistico manca; ma quello che resta è, forse, anche troppo per la loro curiosità, per il loro interesse, per la loro pazienza.
Giovanni Modica Scala
Modica, 1991
Anni dopo, il campo di concentramento in Germania modificò bruscamente questo infantile bisogno di dar corso alla fantasia, nella drammatica stesura di una realtà vissuta. Questa duplice maniacale vocazione, di leggere e di scrivere, trovò terreno idoneo ad una formazione più seria, nella dimestichezza con autentici maestri di letteratura, di storia, di filosofia e di arte.
Ripudiato definitivamente il fatuo indirizzo adolescenziale - già incrinato dall'esperienza maturata a Noto, nell’ultimo anno anteguerra - trovai nello studio di alcune discipline quell'appagamento intellettuale che anni di vieto scolasticismo non erano riusciti a procurarmi.
Non è questa la sede per una esposizione analitica sull'argomento; la breve nota serve ad inquadrare soltanto la mia attività negli anni che seguirono. Con una famiglia numerosa a carico, le nozioni apprese ed una certa chiarezza espositiva mi diedero la possibilità di incrementare l'insufficiente stipendio mensile che mi passava il Comune.
Per venti anni, dal 1948 al 1968, trattai gli argomenti più disparati in un lavoro, cosiddetto “del negro”, che mi procurò parecchi clienti nel campo del giornalismo: io sfornavo articoli su articoli che altri - pagandomi cifre, allora notevoli - firmavano con il loro nome.
Non parliamo, poi, di lavori molto più impegnativi quali, ad esempio, le tesi di laurea, profumatamente pagate in denaro sonante. Ad istradarmi in questa redditizia professione, fu il carissimo e rimpianto Raffaele Poidomani, già noto allora in campo letterario, entro e fuori le mura cittadine, per alcune opere che, in quanto a soggetto e a stile, non sfigurano accanto al Verga o al Capuana.
Dotato di larga cultura e di ingegno vivo e bizzarro, realistico osservatore del mondo in cui aveva trascorso gli anni della prima giovinezza, Raffaele Poidomani è riuscito a dare in “Carrube e cavalieri” la rappresentazione obiettiva, vigorosa e sapida d’umorismo, di una realtà locale che affonda le radici nel medioevo feudale e in cui si muovono alcuni caratteristici tipi della piccola nobiltà di provincia.
Avverso all’accademismo, quanto a stile, dotato di una immaginazione mediterranea che si nutre di cose reali, di forme, di suoni e di colori, Poidomani, in “Tempo di scirocco”, raggiunge vette altissime di lirismo verista, venato di malinconia, di quel senso di impotenza contro un destino avverso, da tragedia greca. Due opere, tra le tante, la cui componente stilistica, malgrado ripetuti tentativi, nessuno è riuscito ad imitare; due opere che, pure ignote al grande pubblico nazionale per difetto di patroni, marcano con segno profondo la letteratura contemporanea.
Novellista insuperato e maestro di un genere dotto ed estroverso, oltre che poeta estemporaneo, Raffaele Poidomani aveva una conoscenza perfetta della paleografia - acquisita nella trascrizione di centinaia e centinaia di documenti dell’archivio della Contea di Modica - che lo abilitava a stendere delle tesi storiche di eccezionale importanza, per la componente documentaria, assolutamente originale ed inedita.
Molte erano le richieste che gli venivano da più parti della provincia, e da fuori provincia; tanto che, ad un certo momento, ebbe bisogno di un collaboratore. Io feci al suo caso. Con il suo aiuto, appresi la difficilissima decifrazione paleografica latina, irta di segni incomprensibili e di abbreviazioni geroglifiche; e il mio apporto divenne essenziale quando i suoi occhi non furono più in grado di leggere la sbiadita grafia medievale. Tante furono le tesi che, in perfetta armonia di intenti, concepimmo ed elaborammo insieme; quasi uguale era la conoscenza della materia storica e, perfettamente uguale, il bisogno di procurarci dei fondi per vivere dignitosamente.
Raffaele Poidomani si rivelò una miniera ricchissima di documenti medievali, in volumi di Lettera che l'amicizia con Raffaele Grana Scolari - archivista del Comune - gli aveva dato modo di trattenere. Parecchi di questi volumi - ognuno contenente molte centinaia di documenti tra il Quattrocento e il Settecento - rimasero in mio possesso quando un ictus cerebrale spense la vivida intelligenza del mio amico. Detto per inciso, questi volumi, qualche anno fa, li ho restituiti alla Sezione dell'Archivio di Stato di Modica. Un prezioso e voluminoso documento del 1474, che Raffaele mi diede in visione, prima di venderlo al professore Enzo Sipione, dell'Università di Catania (io non avevo i mezzi per acquistarlo), costituì l'argomento basilare per la monografia sulle comunità ebraiche della Contea di Modica, che diedi alle stampe nel 1978.
Sulle vicende di questo archivio comitale ho avuto più volte occasione di trattare, e non è questa la sede per trattarne ancora. Per tornare in argomento, la ricerca di tutto il materiale legato alla mia attività giornalistica, ha dato un esito deludente. Non ho mai avuto cura di conservare le testimonianze della mia pubblicistica e, quel poco che ho trovato, lo debbo al caso o, per la maggior parte, all’amore di mia moglie che, delle mie cose concepiva una valutazione smisurata, quasi sacrale.
Ed è nel ricordo di lei, accorato di rimpianto, che mi sono deciso a trascrivere le briciole che restano, ad uso dei miei figli e dei miei nipoti. Molto, moltissimo materiale giornalistico manca; ma quello che resta è, forse, anche troppo per la loro curiosità, per il loro interesse, per la loro pazienza.
Giovanni Modica Scala
Modica, 1991
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