Gli Arabi in Sicilia
Sicilia medievale, pp. 119-124
Il viaggiatore arabo Al Istahri, che visitò la Sicilia intorno al 950 - più di un secolo prima che vi mettessero piede i Normanni - scrisse, nel suo giornale di viaggio che “la Sicilia è lunga a un di presso sette giornate di viaggio a cavallo ed è tanto fertile e ricca di cereali, di bestiame e di schiavi, da vincere di gran lunga ogni altro Paese” (1).
In due secoli e più, gli Arabi furono per la Sicilia, trovata in pieno abbattimento economico e sociale, la linfa vitale che la portò al livello pre-romano e le restituì un primato cereagricolo che aveva perso da quasi un millennio.
Scomparsa la libera proprietà del periodo greco, esistevano soltanto nell'isola il latifondo e la servitù della gleba, ereditati dalla famelica amministrazione romana; inoltre, negli ultimi tempi della dominazione bizantina, vi avevano preso stanza, oltre alle corti dei turmarchi e dello stratega, improntate al lusso di stampo orientale, e a funzionari indottrinati a vorace fiscalismo, enormi quantità di milizie, alle quali una miserabile popolazione doveva fornire, obbligatoriamente e gratuitamente, vitto e alloggio.
La Sicilia fu trovata dagli Arabi in un miserabile stato di decadenza, a causa del selvaggio sfruttamento dei Romani, per i quali l'isola era stata considerata un podere e un granaio; e nulla più (2). Sotto i Bizantini le condizioni della Sicilia peggiorarono addirittura, per l'abbandono dei latifondi e per la scomparsa dell'industria agricola; le sole colture che rimasero, in dimensioni ridotte, furono quelle del grano, della vite e dell'ulivo.
Con precedenti di questo genere è facile rilevare quali immensi benefici apportò la conquista araba. Al tramonto della dominazione bizantina, stanca e decadente, seguì l'avvento dell'etnia musulmana, che portò con sé nell'isola nuovi ed eccezionali elementi di attività e di progresso.
I Musulmani d'Africa, appena liberata l'isola dalla schiavitù di Bisanzio, spezzarono il latifondo in numerose piccole proprietà, che assegnarono in parte ai guerrieri che avevano preso parte alla conquista - che provenivano da un paese dove l'agricoltura veniva concepita e praticata a livello di scienza - e, in parte, ai coloni ed ai servi che, in cambio della terra, avevano abbracciato l'islamismo e stretto legami di sangue con i vincitori musulmani (3).
Enormi estensioni di terra, incamerate dal demanio arabo, furono assegnate in proprietà, o date in fitto, a singoli concessionari, cosicché la campagna - come non avveniva da secoli - si venne via via ripopolando e numerose masserie e piccoli villaggi (dai nomi esotici, oggi scomparsi) sorsero dovunque. Terre abbandonate con l'avvento del latifondo, vennero dissodate, arate e seminate in colture intensive, secondo una metodologia che i Siciliani avevano conosciuta al tempo della colonizzazione greca, e poi dimenticata.
Gli Arabi vi apportarono la sapiente utilizzazione della acque irrigatorie, che rese più varia la coltura dell'isola, ridotta a povera ed esclusiva produttrice di cereali. Gli Arabi recarono dall'Oriente “piante nuove e sconosciute di cui talune, nei secoli di poi, formeranno la bellezza e la ricchezza del paese: il cotone, la canna da zucchero, l'albero della manna, il pistacchio, i gelsomini, i lillà, i giacinti e, soprattutto, gli agrumi che gli indigeni, meravigliati, videro diffondersi con straordinaria rapidità nelle zone costiere. L'aspetto odierno della flora siciliana, con le sue alte euforbie, le agavi, i dolci carrubi, i rossi gerani, le palme, i cedri, i cactus, gli alore, i deliziosi oleandri, i frassini e gli aranci...rimontato tutti all'occupazione araba dell'isola” (4).
Molte furono le colture che gli Arabi introdussero dall'Oriente e l'imperatore Federico II, per molte di esse, sarà un vero propulsore. Al gaito musulmano Filippo, esprimerà il suo compiacimento per la coltivazione del pepe. In una località denominata Minza, Federico farà costruire un colombarium per l'allevamento dei piccioni; attività, anche questa, importata dagli Arabi (5).
Antiche industrie, andate in rovina o in disuso, vennero riattivate e potenziate con criteri innovatori: da quella della frantumazione delle olive, per ricavarne olio, a quella della molitura del grano e della produzione delle paste alimentari. Altre attività, altrettanto nuove e sconosciute, apparvero per la prima volta nell'isola: la coltivazione degli ortaggi, la lavorazione dello zucchero, della seta, del cotone e della carta. Della Sicilia abbruttita da un millenario servaggio, gli Arabi fecero un centro pulsante di vita, che si inserì prepotentemente nel contesto commerciale dell'intero Mediterraneo. La sua passata, trascurabile esportazione, limitata al solo meridione peninsulare, si trasformò in una invidiabile fonte di benessere economico, nei rapporti con il mondo musulmano, dal Vicino Oriente all'Africa settentrionale, all'estremo Occidente spagnolo (6).
Per conquistare la Sicilia gli Arabi impiegarono settantacinque anni: dall'827 al 902, anno in cui fu espugnata e distrutta Taormina. Al di fuori della lunga e contrastata campagna bellica, la storia economica, sociale e culturale dell'isola sotto i Musulmani non è molto nota, almeno nei particolari. Michele Amari, lo storico siciliano che della storia musulmana di quel periodo è il maggiore esperto, ritiene che, nel complesso, il dominio arabo fu fecondo, per avere apportato nuova linfa alla decrepita società romano-bizantina, per avere rinnovato il regime fondiario e per avere introdotto nuove arti e culture. (...)

Come i Greci, un millennio e mezzo prima, avevano conquistato la Sicilia per farne, più che una colonia, una seconda patria, così gli Arabi intesero conquistare l'isola più grande del Mediterraneo; e vi profusero, intero, il patrimonio accumulato in due secoli di contatto con le civiltà orientali, nel campo del sapere, dell'industria, dello sviluppo agricolo e commerciale, dell'intensa attività scientifica e letteraria, della raffinatezza e del lusso della vita di corte.
Latinità e grecità sopravvissero nell'età araba, in un brillante rigoglio civile e in una eccezionale fioritura culturale. Nella composizione etnica, nell'onomastica e nella toponomastica, in molti aspetti dell'agricoltura, nella mentalità e nel costume sociale, il dominio arabo ha lasciato impronte indelebili. La presenza araba in Sicilia riuscì così feconda proprio per l'incrocio etnico e culturale dell'Islam con elementi estranei alla sua tradizione, che reagirono in un felice connubio. (…)

I guerrieri che conquistarono la Sicilia, Arabi e Berberi, non si comportarono da padroni despoti verso i vinti “come appare nel convenzionale ritratto oleografico segnato dai cronisti cristiani e rimasto nel tempo quale stereotipa immagine di repertorio”. Così come era avvenuto nella colonizzazione greca, i guerrieri arabi ripresero l'antica veste civile di agricoltori, maestri nella tecnica delle colture agricole e del giardinaggio, o di mercanti abili nel commercio con l'Africa e con l'Italia, oppure di maestri costruttori, che fecero di Palermo la più splendida capitale del Mediterraneo.
Palermo divenne centro irradiatore di cultura, capitale dello spirito, allo stesso livello di Bagdad, di Damasco, di Granada e del Cairo. Né questo livello fu raggiunto soltanto nel campo delle lettere, della filosofia e dell'arte, ma, anche e soprattutto, in quello dell'agricoltura, dell'industria e dei commerci. (7)
A questi elementi della cultura materiale, si affiancarono annalisti, storici, geografi, scrittori e poeti: studiosi e pensatori che mantennero vivo in Sicilia il retaggio linguistico-culturale islamico. Molte espressioni di questo arabismo culturale e linguistico sopravvissero al tramonto politico e militare dell'Islam in Sicilia, con i Normanni e con gli Svevi, nelle pagine di Edrisi e di Ibn Gubair.
“Gli Arabi scrissero un fondamentale capitolo nella storia del bacino mediterraneo. La secolare permanenza in Spagna e in Sicilia, il predominio marittimo esercitato per lungo tempo, gli assidui contatti commerciali con l'Europa, l'eccellenza raggiunta in alcune scienze, come la matematica, l'astronomia, la medicina e la filosofia, fecero sì che un gran numero di parole arabe entrassero a far parte del patrimonio linguistico dei popoli europei. La lingua italiana possiede un gran numero di arabismi, gran parte dei quali sono giunti sulle vie del commercio esercitato con l'Oriente dalle repubbliche marinare di Venezia e di Genova. Occorre ricordare anche che la lingua araba servì da veicolo per parole di altre lingue orientali. Gli Arabi continuarono nel Mediterraneo la tradizione scientifica antica ed allargarono il loro campo di indagine alle più varie discipline; i trattati arabi, tradotti in latino, circolarono nei vari centri culturali dell'Europa, attraverso il latino scientifico e molti arabismi furono accolti anche in italiano" (8).
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La poetica arabo-siciliana, successiva a quella prettamente araba, fu di una ricchezza ineguagliabile; l'antologia redatta verso il 1150 dall'erudito Ibn Katta, comprende non meno di seicento nomi di poeti originari della Sicilia. Ma nessuno di loro si inchinò davanti alla potenza normanna; con una magnifica indipendenza di spirito e di cuore, rifiutarono di sottomettersi al giogo dei Cristiani e partirono, esuli volontari, verso la Spagna, il Nord Africa, l'Egitto e la Siria, portando con loro il dolore lancinante della patria umiliata e conquistata dallo straniero. Tra loro si trovano alcuni dei lirici notevoli che maledissero con ira, ma senza alcuna bassezza, i Normanni e i Cristiani che li avevano cacciati dalla loro terra natale; e fu proprio questa loro rivolta interiore che dettò loro le più belle poesie che la letteratura araba ha consacrato alla Sicilia. Un contemporaneo della conquista normanna, Abd al Halim, giovanissimo certamente, maturato nell'esilio, ha parole di nostalgico attaccamento alla patria perduta: “Io ho amato la Sicilia della mia infanzia. Essa mi sembrava il giardino di una eterna felicità. Ahimé!, io non ho avuto il tempo di attendere l'età matura, che il paese divenne una fornace ardente”. Gli Arabi rivelarono agli Occidentali tutta la magia del lirismo meridionale, questo velato miraggio che scorreva tra lo zampillare delle fontane, il nitrito dei cavalli del deserto e l'impeto mai spento dell'immaginazione indocile ad ogni giogo. (...)
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1) Al Istahri, in BAS, vol.I, cap.III, p.6
2) Cfr. M. Amari: Storia dei Musulmani, vol.I, p. 108; e G. Modica Scala: Pagine di pietra, cap.XI
3) Nell'anno 410 dell'Egira (9 maggio 1019 - 26 aprile 1020), il figlio dell'emiro di Palermo, Gafar, propose ai Siciliani una rivolta contro i propri connazionali musulmani. Alla proposta di prender parte ad una azione tendente a cacciare gli Arabi dallSicilia, i Siciliani risposero con un secco rifiuto, affermando che "legati da parentela con i Musulmani, erano diventati una gente sola". Cfr. An Nuwari, in BAS, vol.II, capitolo XLVIII, p.140.
4) C. Barbagallo: Storia universale. Il Medioevo. Vol.III, p, 527.
5) Cfr. G. Carcani: Constitutiones regum Regni utriusque Siciliae, mandante Federico II imperatore, p.321. Vincenzo De Giovanni, in "La topografia antica di Palermo dal X al XV secolo", scrive che il nome della località Minza ricorre in un diploma di Guglielmo II, del 1166, da cui si rileva che il fiume Chemone sccorreva nel "viridarium Minza", di proprietà del re. Il nome era ancora in uso ai tempi di Tommaso Fazello e di Rocco Pirro. In realtà, tutta la contrada detta Chemonia, compresa tra il palazzo reale e la porta di Mazara, era occupata per molta parte dai giardini reali. Dino al secolo XVI esistevano i muri di recinzione dei grandi giardini della Minza, che univano il palazzo reale alla Cuba. Cfr. anche G. Agnello: Aspetti ignorati dell'attività edilizia federiciana in Sicilia, p.7 nota 13.
6) C. Barbagallo: Storia universale. Il Medioevo. Vol.III, p.527.
7) Cfr. P. Arena: La Sicilia nella sua storia e nei suoi problemi, p.19.
8) G. A. Papini: Lessicologia italiana, p.50. Legati alla scienza astronomica sono i termini come zenit, nadir, auge, e nomi di alcune stelle, come Aldebaran e Vega. In ambito matematico, molte sono le parole che recano nel nome la loro origine araba: cifra, algebra, logaritmo. Numerosissimi i termini della flora: arancio, carciofo, cotone, melanzana, limone, ribes, spinacio, tamarindo, zafferano, zibibbo, zucchero e albicocco. Molti ancora gli arabismi di varia natura: fondaco, magazzino, divano e dogana, carato, gabella, quintale, sensale, tara e zecca. Nella terminologia marinaresca vanno ricordati: ammiraglio, scirocco, emiro, sciabica, arsenale, dàrsena e cassero (nella doppia accezione della parte più alta di una fortezza e della parte più alta della coperta di una nave).
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